LA PROPOSTA FORZISTA – Oltre i 60 giorni vietato il carcere o i domiciliari se non c’è pericolo di reiterazione del reato (ma la misura serve proprio a evitare che ciò accada)

(DI VALERIA PACELLI – ilfattoquotidiano.it) – Tutti fuori dopo sessanta giorni, se non sopraggiungono nuovi e diversi elementi di rischio di reiterazione del reato. Tommaso Calderone, capo gruppo di Forza Italia in Commissione giustizia alla Camera, prova a riscrivere le norme sulla custodia cautelare. Lo fa con una proposta di legge – anticipata da Il Dubbio – che firma da solo, senza altri esponenti di Forza Italia. L’obiettivo è quello di far rivalutare al giudice il rischio di reiterazione di reato, dopo due mesi dall’ordinanza di misura cautelare, che sia in carcere o ai domiciliari. Ma logica vuole: come fa ad esserci un fatto nuovo se la misura cautelare serve proprio ad impedire che ciò accada? Di conseguenza, nei fatti, la custodia cautelare, così come la si vuole riscrivere, diventerebbe a termine: ossia due mesi per tutti.
Raggiunto dal Fatto però Calderone precisa subito: “La mia proposta non riguarderà i reati ostativi, quelli di mafia, i reati sessuali, di terrorismo o comunque aggravati dalla mafia, l’omicidio e l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti”. Riguarderà però altri delitti altrettanto odiosi: le corruzioni, quelli dei colletti bianchi, e anche i singoli reati di spaccio. E dunque è una norma che potrebbe calzare, in linea astratta, anche al caso di Giovanni Toti, il governatore della Liguria dall’8 maggio ai domiciliari per l’accusa di corruzione. “Toti è capitato nel mezzo. Certo che può essere applicato anche al suo caso – dice Calderone –. Io però mi occupo di diritto, non di ideologie. Faccio l’avvocato da 40 anni, conosco le patologie del processo”. E il reato contestato al singolo spacciatore? “È punito con pene non elevate. Il diritto ha dei principi generali che non si possono mortificare. La pena edittale arriva a incidere su decide di altri istituti giuridici. In ogni caso stiamo parlando della fase cautelare, ovvero la fase in cui il carcere dovrebbe essere l’estremo rimedio”.
La sua proposta incide sulla lettera C dell’articolo 274 del codice di procedura penale che norma proprio le esigenze cautelari disposte in caso di pericolo di reiterazione del reato. È un ulteriore balzo rispetto a quanto stabilito dalla riforma Nordio che ha passato la decisione dell’emissione di misura cautelare non più ad un singolo giudice ma a un collegio di tre.
Adesso l’idea del deputato forzista è quella di dare la possibilità al giudice, dopo 60 giorni dalla misura cautelare, di rivalutare se ci sono ancora pericoli di reiterazione del reato: se non sono sopraggiunte esigenze nuove e diverse da quelle che avevano portato inizialmente ad emettere la misura, tutti fuori. Fine del carcere o dei domiciliari.
Calderone è convinto che ne beneficeranno anche i magistrati: “Questo perché è una norma che dà un senso al decorso del tempo. È chiaro che una misura personale determina afflizione perché è strettamente correlata al disonore sociale”. Insomma “se un soggetto viene arrestato, se è minimamente una persona perbene come minimo prova vergogna, la sua famiglia subisce patimento, e vi sarà pure un pregiudizio per la sua attività lavorativa”. E quindi? “E quindi è necessario che dopo 60 giorni un giudice torni a valutare le esigenze cautelari. In questo modo si dà un valore ai sessanta giorni di carcere. Nel caso di Toti, ad esempio, se emergono altri elementi, altri processi o altri capi di imputazione è chiaro che sono fatti nuovi e dunque resta dov’è. Ma se non emerge nulla, non c’è un fatto nuovo che mi fa pensare che l’indagato possa reiterare il reato, va fuori. È lo Stato che deve dimostrare che ci sono ancora esigenze cautelari”.
Calderone quindi conclude: “Ogni volta ci sono casi diversi, decisioni contrapposte da città a città, ma anche tra Gip che fanno parte dello stesso Tribunale. E quindi abbiamo un giudice a Messina che dopo un mese mette fuori uno e quello di Palermo che ci mette sette mesi. Bisogna dare una disciplina. La ratio legis è questa”.