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Il Mossad con licenza di uccidere, ecco gli 007 che non devono più trattare

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Lo 007 del nostro tempo è diventato un killer autorizzato alla vendetta. Il Mossad ha fatto dell’esecuzione dei nemici una scienza esatta coi droni. Niente più scambi, solo cacciatori e prede. E c’è chi ammira questi «colpi spettacolari»

Operazione Ira di Dio. Dopo l’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 (dove morirono 12 atleti israeliani e un poliziotto) il Mossad organizza una serie di attentati mirati in Europa (anche in Italia) per eliminare gli autori del commando palestinese
 

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Per i pochi come me che ancora credono che l’omicidio volontario sia una delle peggiori fattispecie di reato e che la punizione dei colpevoli passi non per la vendetta ma attraverso le faticose procedure di tribunali dibattimenti e sentenze, è stato motivo di stupore la lettura delle definizioni attribuite alla operazione del Mossad a Beirut e poi ancor più fragorosamente a Teheran. Il duplice omicidio è «l’episodio», «l’eliminazione», «la risposta», «il messaggio», «l’avvertimento» e via così metaforando. Filtra una non troppo contenuta ammirazione per il doppio colpo messo a segno dal Servizio Omicidi di Netanyahu. Confessiamolo con devozionale raccapriccio: il killer con licenza governativa di uccidere è diventato un eroe del nostro tempo, maturano condizioni per le maniere forti. La caccia all’uomo, la imboscata risolutiva, la vendetta realizzata in un attimo: tali pratiche esentate da cautele legalistiche non suscitano più scandalo. Israele in particolare le ha imposte come pratica abitudinaria, ne ha fatto una scienza, le ha normalizzate. Anzi: ho sentito ieri lodare perché a Teheran, con grande abilità operativa, si sono evitati sgradevoli effetti collaterali, ovvero spedire agli inferi con il condannato a morte anche ignari inquilini e passanti. Fatto così va bene: bisognerà aggiornare il codice penale internazionale.

Le due operazioni sottolineano un’altra novità, rispetto alle epoche primitive in cui “far fuori’’ esigeva infiltrazioni di agenti in luoghi ostili, pedinamenti faticosi, veleni, cariche di tritolo da affiggere a vetture e appartamenti, armi portatili dotate di silenziatore. Stiamo sul terra terra: il drone ha apportato straordinarie ed economiche possibilità. Un assassino silenzioso e invisibile guidato a distanza da mani sapienti vola sul bersaglio e il terrorista evapora in una spettacolare esplosione. Nessuna necessità di mettere in salvo gli esecutori, in fondo nessuna traccia. Chi deve sapere capisce. Si può perfino far finta di niente, tacere.

Dunque. Il Mossad come descriverlo? Guerrieri senza nome, identità fittizie, la guerra delle ombre, sabotaggi a centrali atomiche e ecatombi di terroristi, scienziati sospetti, nemici di Israele generici, operazioni spettacolari e clamorose sconfitte come il 7 di ottobre. Ah, dimenticavo: anche loschi commerci, traffici di armi, bugie, delitti per errore. Gli agenti della guerra fredda occidentali e sovietici sapevano se scoperti di avere una possibilità, prima o poi sarebbero stati scambiati con colleghi dell’altra parte o con refuznik e dissidenti: un ponte a Berlino, nebbia, silenzio. Pagina chiusa. Pensione. Nelle guerre del Mossad non ci sono prigionieri, si paga, cacciatore o preda, con la vita. E poi: con una organizzazione che è costruita per la segretezza e l’inconfessabile, come si individua il vero dal falso, la leggenda creata ad arte e il buio su malefatte ed errori?

Proviamo isolando due personaggi, una leggenda e un protagonista della sua parte oscura, vergognosa. Il primo è Meir Dagan considerato il più grande ramsad, capo del Mossad della storia. Quando Sharon lo chiamò nel 2002 a dirigere il Servizio era un generale in pensione che si dedicava nella sua casa in Galilea alla tavolozza di pittore dilettante. Eppure i trentanni precedenti della sua vita erano stati una spettacolare overture per questo destino. Lo chiamavano l’uomo dell’ombra, il creatore di Rimon il primo commando israeliano clandestino. Se non lo conoscevi era solo un ufficiale che zoppicava leggermente per aver calpestato una mina nella Guerra dei sei giorni. La sua unità sulle carte non esisteva perché doveva combattere a Gaza i terroristi con operazioni “non convenzionali’’. Dicono girasse per le viuzze letali della città con un bastone, un doberman al guinzaglio e un arsenale di mitra e pistole: «Ci sono degli arabi cattivi che vogliono ammazzarci – sintetizzava – il nostro dovere è ammazzarli per primi». Non si sente già una più vasta filosofia?

Il commando omicida di Arik dicono la applicasse liquidando gli arrestati a sangue freddo: «ti diamo due minuti, se ce la fai a fuggire sei vivo…» e poi arrivava il colpo di pistola. Oppure si fingeva di dimenticare un coltello, l’arrestato lo prendeva e si sparava a vista. Scene che sembrano rubate dai western di serie B. «Leggende» negava lui: «In una guerra come la nostra il confine tra lecito ed illecito tende ad annullarsi, per questo devono essere gli uomini più onesti a farsi carico delle azioni più sporche…». Potrebbe essere il motto del Mossad. Gaza per un po’ fu un posto quasi tranquillo e Sharon commentava, in estasi: la specialità di Meir è far saltare le teste degli arabi…

Quando lo chiamarono a dirigere il Mossad l’organizzazione era in crisi, urgeva sistemar le cose. Soprattutto la macchia del fallito tentativo di uccidere ad Amman uno dei leader di Hamas, nel 1996. Bisognava vendicare un attentato a Gerusalemme, due kamikaze in un mercato, sedici morti. Il capo di Hamas aveva passaporto americano, possibili i guai con Washington. Bersaglio più disponibile era Khaled Meshal, leader di prima schiera, bell’uomo, ingegnere informatico, casa e ufficio ad Amman quindi a portata di mano. Le operazioni in Giordania erano vietate per opportunità politica ma il premier Netanyahu, già lui!, decise che valeva la pena. «Operazione discreta!’» raccomandò e anche questo dice molte cose. Si pensò così di usare il veleno, preparato dall’ istituto di biologia di Ness Ziona. Poche gocce sulla pelle e non c’era scampo, non lasciava tracce neppure all’autopsia. Già sperimentato con Wadid Addad. uno dei capi del Fronte di liberazione della Palestina, ucciso con una scatola di cioccolatini alla crema. L’agguato fu un disastro, i malaccorti killer arrestati, Netanyahu dovette scusarsi con il re.

Il nemico preferito di Dagan fu il progetto nucleare iraniano. Le sue vittime principali gli scienziati. Come il dottor Masur Mohammadi esperto di fisica quantistica. Biografia in realtà misteriosa tra le voci che lo volevano un pasdaran fanatico e chi diceva fosse solo un teorico innocuo e perfino vicino ai dissidenti del regime. Alle 7.50 in punto del 12 gennaio 2010 non c’era più tempo per i distinguo. Il professore uscì di casa in via Shatiati, zona nord di Teheran, per andare al laboratorio. Quando inserì la chiave l’auto saltò in aria. Almadinejad, allora presidente, non ebbe dubbi: tipico metodo sionista.

Un nome che il Mossad non mette di certo tra i busti degli eroi è Michail Hahari, capo delle squadre di killer che setacciavano l’Europa per eliminare bersagli palestinesi. Dopo l’attentato di Monaco i suoi agenti uccisero per sbaglio in Norvegia un cameriere marocchino scambiandolo per uno dei capi di Settembre nero. Peccato veniale, se non fosse stato aggravato dal farsi arrestare. Lo punirono mandandolo a dirigere “le operazioni’’ in America Latina. Fu lì che divenne amico del dittatore Manuel Antonio Noriega, “un amabile mascalzone’’, come lo definiva la Cia, altra agenzia di spregiudicati che gli pagava i sudici servizi 200 mila dollari l’anno. Con lui Harari fece buoni affari, da commesso viaggiatore di armi israeliane per 500 milioni di dollari. Lo chiamavano signor sessanta per cento, con le armi viaggiava la coca colombiana, gli americani sapevano ma tacevano, le armi andavano anche ai contras. Quando i marines perquisirono il suo appartamento Harari era già a casa, a Tel Aviv.


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