
(Giuseppe Di Maio) – Non vorrei che fosse un altro flop. Già gli Stati Generali del Movimento, che pareva dovessero rifondarlo, alla fine si risolsero in una boiata utile a precludere a Di Battista la via della presidenza. Questa volta la grancassa contiana li annuncia come qualcosa di eccezionale: più che una rifondazione il prossimo giro di chiglia pare sia una ricostituzione del potere del popolo 5S che dovrebbe dettare spontaneamente l’agenda dei lavori. Sono ormai abituato alle delusioni, e so che quando si chiama il popolo a testimone, anzi, a protagonista della storia, già sono presenti abusi, ambizioni e scippi, obiettivi taciuti e, chiacchiere.
Grillo, il fondatore, uno che snasò una vacanza di idee nella sinistra e poi una mancanza di leadership nella destra, fece un carico di consensi reazionari che sopportiamo ancora adesso, nonostante la carta dei valori di Conte abbia dato un deciso indirizzo socialista. Ancora adesso nel Movimento seguitano a nascere idee “nuove”, quasi scoperte d’eccezione, ma che per un marxista come me sono acqua calda. Mettere mano alla carta dei valori per darle un più preciso orientamento, è pericoloso. Potremmo ritrovarci con un taglia e cuci che fa il giro degli interessi privati e compone un altro guazzabuglio grillino. Ad esempio, uno degli argomenti che precedono la discussione, è il limite dei due mandati, che sono, dicono, la carta d’identità del Movimento. Beh, l’idea di Grillo contro la corruzione nelle istituzioni aveva gravi controindicazioni: cioè la disintegrazione di una classe dirigente faticosamente composta, e la presunzione che il popolo italiano fosse un serbatoio inesauribile di cittadini capaci, onesti, e disponibili. Disfarsi di Bonafede, Morra, Taverna o Toninelli è stata un’azione nociva con intento suicidario, e la deroga per chi ha dimostrato lealtà, capacità, e aderenza al mandato, diventa indispensabile. Ma chi decide della deroga? Sarei propenso a far valutare agli iscritti le qualità e i meriti dei loro rappresentanti migliori. Ma gli iscritti sono veramente capaci di giudicare l’operato dei portavoce? Non daremmo forse il via a una guerra per l’esposizione mediatica dei deputati pentastellati, proprio come già avviene nei gruppi territoriali (meetup) per accattivarsi le simpatie della maggioranza degli iscritti? Allora che decida il capo, il presidente, cioè uno che ha contezza del vero valore degli eletti e della loro lealtà. Ma così, non si stabilirebbe un clan strutturato intorno alla rielezione esattamente come avviene negli altri partiti?
E questo è solo uno dei problemi che dovremmo andare a risolvere, e nemmeno il più grave. Poi c’è l’organizzazione del partito, e la strategia del M5S, cioè l’ideologia, l’idea di società che dovremmo esprimere, contraria e opposta alle destre reazionarie al governo, e a quelle conservatrici all’opposizione.