
(Di Vanessa Ricciardi – ilfattoquotidiano.it) – Ponte sullo Stretto, giustizia, Ucraina, persino la ministra Daniela Santanchè. La nuova vita da leader di opposizione di Matteo Renzi, fondatore di Italia viva, è un’immagine che si scontra con la realtà: l’elenco delle volte in cui in Parlamento il suo partito ha fatto comodo a Giorgia Meloni è già abbastanza lungo, e in molti sono convinti, prove alla mano, che il centrodestra abbia buone speranze anche per il futuro.
Il primo atto pubblico dei renziani a favore del governo Meloni è arrivato con l’approvazione del decreto Aiuti-ter, a nemmeno un mese dall’insediamento del governo. Certo, in quel caso era rimasto in sospeso dal governo Draghi, ma il secondo atto è stato più esplicito. Il 6 dicembre 2022, per la conversione del decreto legge su nomi e competenze dei ministeri, i renziani hanno bocciato la proposta Pd, M5S e Avs di eliminare la parola “merito” voluta da Meloni per il ministero dell’Istruzione. Sulle armi all’Ucraina hanno direttamente votato col governo. Nelle risoluzioni alla fine del 2022, al decreto nel 2023, e ancora una volta per la risoluzione all’inizio del 2024: “Noi – disse Davide Faraone – condividiamo l’intervento del ministro Crosetto tenuto in quest’aula e voteremo coerentemente sì alla proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi militari in favore del popolo ucraino”.
Sulla giustizia nessuno ha mai avuto dubbi. Il buongiorno è arrivato a gennaio 2023 con il voto a favore della relazione del ministro Carlo Nordio sullo stato dell’amministrazione giudiziaria. A marzo ancora una volta tutti d’accordo sulle mozioni per la riforma del processo penale alla Camera. Passano i mesi e a dicembre arriva un’altra alleanza eclatante: il sì all’emendamento di Enrico Costa (Azione) che introduce il divieto di pubblicare il testo delle ordinanze, il cosiddetto “bavaglio”.
Il 13 febbraio di quest’anno, l’acme. Iv ha approvato in prima lettura al Senato il ddl Nordio con l’abolizione dell’abuso d’ufficio e la riformulazione del traffico di influenze: “Sono principi che erano nel nostro programma elettorale – ha detto Ivan Scalfarotto –, non avrebbe avuto senso nessun’altra posizione”. Ancora di più: “È un ddl quasi più nostro che della maggioranza”. La conferma non è mancata neanche per il voto definitivo alla Camera, a luglio. Nordio ha ringraziato: “Lascia ben sperare che troviamo un punto di convergenza quantomeno sulla riforma della giustizia”.
Nel tempo, Renzi ha ribadito il suo sì anche al Ponte sullo Stretto, nelle parole e nei fatti. L’anno scorso Iv ha votato a favore del decreto promosso da Matteo Salvini, e ha spiegato: “Perché dovrei cambiare idea, solo perché lo propone Salvini? Idem per le Riforme costituzionali se mai Meloni avrà il coraggio di scegliere l’elezione diretta del premier”.
Sulla “madre di tutte le riforme”, il partito ha tenuto un andamento altalenante. Prima astensione in commissione, poi voto contro in aula. In futuro chissà. Altre volte Renzi ha cambiato idea, come per la sfiducia della ministra indagata (oggi imputata) Santanchè. Pochi giorni prima che venissero avvistati gli italovivi Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi al Twiga, il lido avviato dalla ministra con Flavio Briatore, Iv ha deciso di non partecipare al voto. Alla Camera, mesi dopo, il gruppo ha votato direttamente contro la mozione di sfiducia. Tra ministri e giustizia, anche sul fronte economico, l’unione Renzi-centrodestra fa la forza: a maggio Dafne Musolino ha soccorso la maggioranza nel voto sul Superbonus in Commissione Finanze. E dire che in quel caso Lega, FI e FdI non erano nemmeno d’accordo tra di loro.