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Lo Ius Buonsenso, il razzismo e la poltrona

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(Tommaso Merlo) – L’Italia senza immigrati è spacciata eppure la burocrazia nostrana ancora ostacola la loro cittadinanza. Vige una legge vecchia di trent’anni, un lasso di tempo in cui il mondo è cambiato radicalmente. Ma si sa, la politica strilla ma procede a rimorchio. I poveri del pianeta sono fuggiti dalla miseria e son venuti ad aiutare noi ricchi a portare avanti la baracca visto che non facciamo figli e ci siamo pure imborghesiti. Gli immigrati danno molto di più di quello che ricevono eppure sono trattati ancora in maniera vergognosa. Lo Ius Soli è razzista, chi nasce in Italia è e deve essere riconosciuto cittadino italiano a prescindere dai genitori. Che un bambino nasca qui e per anni viva in un limbo come se fosse un intruso, è scandaloso. Il solito accanimento contro gli ultimi degli italiani brava gente. La solita inconsistenza politica. Anche la prima generazione di immigrati deve poter diventare italiana dopo un ragionevole percorso di integrazione. Ius Buonsenso pure qui. Come succede altrove. Non possono essere lasciati in mezzo ad una strada e poi venire sfruttati perfino dalle campagne elettorali di qualche ipocrita in giacca e cravatta. Diverso è il discorso culturale, bene o male abbiamo raggiunto certe consapevolezze ad esempio nel rapporto tra religione e politica o tra generi e su certe libertà e diritti. Per chiunque cresce qui il problema non si pone, ma gli ultimi arrivati devono adeguarsi. Sempre Ius Buonsenso, perché la diversità arricchisce ma dobbiamo socialmente andare avanti insieme e non arretrare. La strategia migliore è l’integrazione. Molte tensioni nel Nord Europa nascono dalla ghettizzazione frutto del razzismo strisciante, con interi quartieri e villaggi che sembrano marocchini o sudanesi e fanno tremare i fragili equilibri esistenziali degli autoctoni. I visi pallidi fanno gli spacconi, ma la loro è paura di perdere la propria identità e quindi se stessi, una identità nazionale fatta di usanze, tradizioni, abitudini e tonnellate di luoghi comuni ed automatismi. È proprio vero che gran parte dei nostri problemi esistono solo nella nostra mente. Dopo vent’anni di duro regime, pochi giorni prima di venire fucilato, uno sconsolato Mussolini ammise che aveva provato a cambiare gli italiani ed aveva fallito. Figuriamoci se ci riescono quattro poveracci su un barcone a cambiare la cultura nostrana o quella altrui. Le culture hanno radici profonde nella psiche ed in realtà evolvono sempre ma seguendo ritmi storici. Tutta roba fuori dal nostro controllo e con tempi che vanno ben oltre il nostro fugace passaggio sul pianeta. Noi poveri cristi siamo “dove cresciamo” nel bene o nel male. Assorbiamo cioè la cultura di quella società e ce la portiamo addosso per sempre. Blu, verdi o arancioni, chi cresce in Italia è italiano o lo sarà per sempre. Il colore della pelle e le sembianze non sono altro che un modo con cui il Padreterno vuole farci comprendere la nostra superficialità e stupidità. Il colore del nostro sangue, l’irrequietezza della nostra mente, le fragilità del nostro cuore certificano la nostra assoluta uguaglianza ed appartenenza alla categoria degli esseri non sempre umani. Le razze non esistono. Sono solo una delle tante invenzioni con cui gli esseri umani si sono storicamente divisi per poi scagliarsi gli uni contro gli altri e sfruttare i più deboli per i propri scopi egoistici. L’uomo bianco ha un curriculum impressionante in merito ed oggi trema perché le vittime del suo modello turbocapitalista e delle sue guerre inutili sono arrivati fino al suo uscio per raccogliere le briciole del suo benessere e dare un futuro dignitoso ai propri figli. Tutta parte integrante dello Ius Buonsenso. Capitolo ipocrisie. I visi pallidi fanno gli spacconi, ma la loro è paura di un mondo che cambia troppo in fretta e spazza vie tutte le loro false certezze. Certo, per convivere bene bisogna organizzarsi, ma anche per questo basta lo Ius Buonsenso applicato ai palazzi del potere affinché i politicanti gestiscano intelligentemente il cambiamento invece di subirlo o addirittura sfruttarlo per una misera poltrona.


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