Campo (quasi) largo – Alla festa di Pesaro. Il ritorno dopo due anni a casa di Matteo Ricci: “Non fate a Schlein quello che avete fatto a me…”

(Di Tommaso Rodano – ilfattoquotidiano.it) – Alla voce “sindrome di Stoccolma”, l’Enciclopedia Treccani recita così: “Particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro (…), i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento”. A Pesaro va in scena, per una sera, la versione politica di questa patologia. Matteo Renzi torna in una festa dell’Unità dopo oltre due anni d’assenza e c’è subito una notizia: non vola nemmeno un fischio. I militanti pesaresi del partito che Renzi ha conquistato, svuotato e poi abbandonato non sembrano serbargli rancore, anzi. Il merito è anche dell’amico Matteo Ricci, ex sindaco della città ed ex renziano di ferro (fino alla fuga dell’ex premier in Italia Viva), che ha “bonificato” il campo con maestria. Ricci ha chiamato a raccolta il Pd pesarese e ha preparato un terreno morbido, morbidissimo per l’ex premier. “Ma non è vero, non è così”, si schermisce l’ex sindaco prima dell’incontro, “lei deve considerare questo: anche se è al momento più basso del suo consenso, Renzi ha un gruppo di fedelissimi che lo segue ovunque. Poi ci saranno tanti curiosi, ma comunque con un atteggiamento civile. Naturalmente ci aspettiamo anche qualche contestazione, le abbiamo messe in conto, molti si sono sentiti delusi e abbandonati da Matteo”. E invece, di contestazioni nemmeno l’ombra: sembra un incontro in famiglia, al di là di ogni aspettativa.
Renzi arriva alla festa alle 19 e 27 ed entra da un ingresso laterale. Non tutti se ne accorgono. Viene scortato da alcuni dei suoi pretoriani (Francesco Bonifazi, Luciano Nobili e Marco Cappa) e accompagnato da Ricci verso il capannello dei giornalisti. Rilascia le sue dichiarazioni (anche al Tg1), poi si allontana con l’ex sindaco per un aperitivo con Myrta Merlino, la moderatrice dell’incontro, per preparare la scaletta dell’intervista. Quando torna, alle 20 e 30, il pubblico è raddoppiato (ci sono circa mille persone). L’introduzione è affidata al segretario cittadino del Pd, Giampiero Bellucci: “Parlo a nome di tutti, quando dico bentornato Matteo”. Dalla platea scatta il primo applauso. Renzi si avvicina al palco stringendo mani e salutando vecchi amici. Nessun fischio, al contrario: il volume dell’approvazione sale con il passare dei minuti.
Il piano di Renzi è chiaro: parole dolcissime per Elly Schlein, polemiche e ironie sui nemici di sempre. “Non mi sento un figliol prodigo – esordisce, provocato da Merlino – ma oggi sono qui perché penso che il centrosinistra debba ripartire”. Invita il popolo del Pd a proteggere la sua segretaria: “Per favore non massacrate la vostra leader, non fate a Schlein quello che è stato fatto a Veltroni e a me”. Se è qui, dice Renzi, il merito è proprio di Elly: “Non ce l’ha ordinato il dottore di fare l’alleanza, ce l’ha proposto Schlein con un atto di intelligenza politica. Io ci sono, voglio provarci. Ma se la linea la dà il direttore del Fatto Quotidiano, allora fate da soli. È un giustizialista che ha insultato e offeso anche la dignità dei militanti del Pd”. Renzi raramente nomina Giuseppe Conte (“Non prendo lezioni di sinistra da lui”), o gli altri leader del centrosinistra scettici o contrari all’ingresso di Italia Viva nel centrosinistra. Per lui gli unici ostacoli al suo ingresso nel “campo largo” sono Giorgia Meloni e Marco Travaglio: “A dirmi di no sono Meloni e Travaglio. E Travaglio e Meloni hanno passato l’estate a flirtare. Ma non avevano detto che ero irrilevante?”. Il pubblico apprezza e applaude ancora.
Per raccogliere qualche voce critica bisogna allontanarsi dalla platea. “Sa perché non c’è risentimento? – dice Gianfranco Calandrini, 74 anni, elettore dem – Perché tanto è impossibile che Renzi faccia peggio di quel che ha già combinato. Facciamo finta che venire qui stasera sia stato un gesto di umiltà da parte sua. Ma mica ci fidiamo di lui, è impossibile”. Gilberto Ragni, 70 anni, fa il volontario alla festa dell’Unità da almeno 20 (c’erano ancora i Ds). “Noi pesaresi siamo un popolo tranquillo – sorride – Renzi non ci convince più, ma il campo largo va fatto, altrimenti la destra non la sconfiggiamo. Basta non litigare”. Alla fine lo spirito della serata è nell’ennesima battuta di Renzi, in un napoletano goffo e stentato: “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto, ha avuto, scurdàmmoce ‘o passato”. In bocca al lupo.