C’è un programma di governo messo già nero su bianco dai due custodi della Costituzione, il capo dello Stato e la Consulta

(di Michele Ainis – repubblica.it) – C’è un programma di governo messo già nero su bianco. Ma non dal governo, né dalle opposizioni. L’hanno depositato in questi anni i due custodi della Costituzione – il capo dello Stato e la Consulta – con una pioggerella di moniti, richiami, segnalazioni. È un programma politico, benché non sia scritto per mano degli organi politici, benché non s’occupi d’economia, affari internazionali, fisco, mercato del lavoro. Ma tratta di diritti, la materia più politica, quella che veste l’abito dei cittadini nella polis. E si rivolge al Parlamento, cui spetterebbe tradurlo in norme operative.
Non succede, ciascun appello rimane quasi sempre inascoltato. Eppure in questi giorni di vacanze comincia a muoversi qualcosa. Un importante partito di governo (Forza Italia) apre a riforme che garantiscano maggiori diritti ai detenuti, e poi anche agli immigrati, con una nuova legge sulla cittadinanza. Ne scaturisce una baruffa con i suoi alleati, ma intanto il centro-sinistra apre a sua volta. Si possono individuare altre convergenze, altri temi da mettere a fuoco. Ed è più facile, se la dettatura proviene dagli organi di garanzia costituzionale, invece che da questo o quel partito. Anzi, sarebbe perfino doveroso. Gettiamoci perciò un’occhiata su quest’elenco di libertà negate, di diritti che reclamano attuazione.
Innanzitutto la Consulta. Qui entrano in campo le sentenze-monito: servono a indicare una lacuna nella protezione dei diritti, ma non la colmano, per non invadere la discrezionalità legislativa. L’esempio più noto riguarda il il fine vita, sulla scia del caso Cappato. Nel 2018 il tribunale costituzionale sollecita il Parlamento a superare il divieto assoluto del suicidio, che contrasta con la libertà di autodeterminazione; le Camere non cavano un ragno dal buco, sicché l’anno dopo ci mette una pezza la Consulta; e continua a farlo con la sentenza n. 135 depositata a metà luglio, che allarga i criteri del suicidio assistito. Rimane però l’esigenza di una legge, d’una disciplina organica e compiuta. In questo, come in vari altri casi.
E infatti: quante sono le segnalazioni inviate dalla Consulta al Parlamento? Nel solo biennio 2021-2022 (l’ultimo dato offerto dal suo Servizio studi) arrivano a 51, oltre un paio al mese. Scorrendone l’elenco, s’affaccia un catalogo che è al contempo un atto d’accusa per la politica italiana. Sulla condizione dei figli, per esempio: da quelli nati da maternità surrogata fino al riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale per i figli concepiti con fecondazione eterologa praticata da una coppia omosessuale, dal diritto al cognome materno fino a una quota di pensione di reversibilità identica per i figli legittimi e per quelli nati fuori dal matrimonio. O sulla condizione carceraria, che nel 2019 ha animato un viaggio nei penitenziari da parte dei giudici costituzionali, poi divenuto un docufilm. E che una sentenza del 2024 ha dichiarato compatibile con il diritto all’affettività, rimuovendo il divieto di colloqui intimi con i detenuti. Ma sono ben di più gli appelli al legislatore, dalla cancellazione dell’ergastolo ostativo all’uso di misure alternative o di pene pecuniarie.
Altre sentenze-monito puntano l’indice contro la vergogna delle Rems, le strutture sanitarie per autori di reato affetti da disturbi mentali; sull’opportunità di depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa; sul diritto d’associazione sindacale dei militari; sul trattamento sanzionatorio di vari delitti, per lo più eccessivo o irragionevole. E a questi moniti s’affiancano quelli ripetutamente pronunziati dal presidente Mattarella. Per citare solo i più recenti: contro l’omotransfobia (17 maggio), giacché l’Italia non ha firmato la Dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq+; per nuove leggi che proteggano il lavoro minorile (11 giugno) e la sicurezza dei lavoratori (8 agosto); o più in generale con uno stop all’assolutismo di Stato (3 luglio), che nega la cultura dei diritti.
Ecco, l’agenda è questa. Se a qualche partito non piace, significa che non gli piace la Costituzione, com’è vissuta e interpretata dai suoi due garanti. Ma gli altri partiti dovrebbero mettersi al lavoro.