
(di Michele Serra – repubblica.it) – Ubriaco e drogato, a 25 anni si è ribaltato con la sua auto. Nell’incidente è morta la compagna, una ragazza di 24 anni. Il figlio, sei mesi, è gravissimo. Non importano i nomi, è una notizia di cronaca tra le tante, e simile a tante. Anche la duplice alterazione (alcol e chissà cos’altro) non è eccezionale. Già letta, già sentita.
Ognuno di noi è ricettore di sensazioni ed esperienze personali che non lo autorizzano a farne un paradigma, o un dato oggettivo. La mia sensazione personale, comunque, è che lo stato di alterazione delle persone, soprattutto delle persone giovani, non sia in diminuzione. Prudente eufemismo per dire: è in aumento.
Ed è in aumento perché l’alterazione, da tempo, non è più un’effrazione o una sfida. È un consumo. Per giunta un consumo a basso costo, per tutti, da bar e da movida, da serata con gli amici. Spogliata di ogni (balorda) aura di provocazione, o di avventura interiore, la droga è banalmente un bene di consumo, tal quale il cibo, i vestiti, le vacanze.
Poiché, formalmente, siamo in regime di proibizionismo (vietate le droghe cosiddette pesanti e con questo governo anche quelle cosiddette leggere, misure molto severe per chi guida brillo), se ne deduce che il proibizionismo è un colabrodo. Un finto regime di sorveglianza che non ha alcuna speranza di prevalere.
La lotta contro le dipendenze è culturale, è politica. È una battaglia di liberazione personale, di salute psichica e fisica, che non può essere affidata a strumenti repressivi inutili e dannosi, che trasformano i malati in criminali.
Le dipendenze si curano (si prova a curarle) oppure niente. I morti per ubriachezza o per pasticca o per stonatura da sostanza sono tanti, e sono un tragico coro che canta la sconfitta del proibizionismo.