Intervista all’ex sindaca di Torino e vicepresidente 5S: “Sono contraria ai politici di professione ma l’esperienza va valorizzata. Confrontiamoci, la scissione sarebbe un fallimento”

(di Matteo Pucciarelli – repubblica.it) – «Il M5S non è né di Beppe Grillo né di Giuseppe Conte», dice Chiara Appendino. La ex sindaca di Torino, vicepresidente del Movimento, è uno dei pochissimi esponenti di punta della vecchia guardia rimasta tale anche nel “partito di Conte”. E sembra quasi voler indicare una terza via per il futuro di un soggetto politico oggi spaccato tra fondatore e presidente.
Tra i due lo scontro è aperto, si rischia di finire in tribunale. Il M5S è davvero vicino alla scissione?
«So solo che sarebbe un fallimento. C’è bisogno di un sano confronto interno per rilanciare battaglie identitarie e ravvivare la voglia di scendere in piazza e l’orgoglio di essere Movimento. Ci serve una spinta propulsiva: politiche innovative e una nuova idea di Paese, non certo spaccature interne e tatticismi di fiato corto».

Chi ha ragione tra i due?
«Vede, il M5S non appartiene né a Conte né a Grillo ma alla sua comunità. Conte ha avviato un percorso costituente in cui siamo tutti chiamati a prendere la parola».
Lei come lo farà?
«Credo in questo percorso, voglio dare il mio contributo sui temi di giustizia sociale».
Ma lei ritiene che stiate perdendo la vostra “anima”, per così dire?
«Abbiamo trasformato in leggi nostre vecchie battaglie: il taglio ai privilegi e ai costi della politica, il reddito di cittadinanza, la Spazzacorrotti, il decreto Dignità, per citarne alcune. Quale altro partito al governo ha mantenuto tante promesse? Adesso dobbiamo rilanciarci con nuove battaglie senza perdere la radicalità che ci ha contraddistinto in questi anni, per cambiare lo status quo. Eravamo, siamo e saremo sempre diversi dagli altri partiti».
La leadership di Conte è in discussione?
«Ma no, anche perché questo è un dibattito fuorviante, un falso problema. La vera domanda da porci è ridare una nuova identità al M5S. E dobbiamo farlo mantenendo sempre vivo un principio di collegialità».
Con Grillo lei si sente?
«L’ultima volta che ci ho parlato è quando venne a Torino per il suo spettacolo, a maggio».
È favorevole a modificare la regola dei due mandati?
«È giusto che una comunità si interroghi sulle proprie regole. Serve un bilanciamento tra due principi: restiamo contrari alla politica di professione, perché siamo diversi dai Gasparri di turno, ma dobbiamo valorizzare meglio persone che hanno maturato un’esperienza importante. Ne va anche del nostro radicamento sul territorio».
Cambierebbe nome e simbolo?
«Non ne vedo la necessità».
Sul piano esterno, il M5S è stabilmente nel centrosinistra?
«Siamo tutti impegnati a costruire un’alternativa credibile a questa destra che al governo sta facendo solo danni: tagliano la sanità, non aiutano le imprese, bocciano il salario minimo, non favoriscono la crescita, minano l’unità del paese, non realizzano il Pnrr. Qui il tema non è la collocazione nel campo progressista bensì la postura con cui costruisci le alleanze. Non accetteremo mai di essere subalterni al Pd e a volte sui territori siamo stati fin troppo generosi con le coalizioni di centrosinistra».
Il M5S dirà al Pd “o noi o Renzi”?
«Diciamo che il renzismo è lontano anni luce da noi e non vogliamo averci a che fare. Lui è quello del jobs act, noi del decreto dignità; lui è quello di Bin Salman, noi quelli che propongono una legge su conflitto di interessi; lui ha votato contro il salario minimo, noi lavoriamo da anni per renderlo legge. Continuo?».
Lei prima diceva: “Ripartiamo dai temi sociali”. Ad esempio?
«Idee per garantire il diritto alla casa e un nuovo modello di welfare capace di intercettare il bisogno, così da non abbandonare chi è più fragile. Ho poi proposto degli incentivi perché venga adottata la “regola Olivetti” per cui un top manager non può guadagnare più di 10 volte quanto guadagna un suo dipendente. Non è accettabile ad esempio che l’ad di Stellantis Tavares guadagni oltre 750 volte un operaio. I salari minimi vanno alzati».
Cosa pensa della contromanovra delle opposizioni?
«La manovra finanziaria sarà all’insegna dei tagli e della crescita zero, aumenteranno ancora le diseguaglianze sociali e territoriali. Tra l’altro i ritardi sul Pnrr sono clamorosi. Occorre dare voce agli esclusi della società: a chi lavora per paghe da fame e merita un salario minimo legale, a chi è stato abbandonato e ha bisogno di uno strumento universale contro la povertà, a chi è malato e deve potersi curare nel servizio pubblico, alla piccola impresa strozzata dalle bollette e dai tassi di interesse».
Ultima cosa. Fosse americana: Harris o Trump?
«Con difficoltà perché è corresponsabile della folle escalation militare di Biden, voterei sicuramente per Harris. Ma serve discontinuità in politica estera»