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Un appello alla politica e alla cultura caduto nel vuoto

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(di Marcello Veneziani) – Il deserto. Non ha risposto nessuno alla lettera-appello di Massimo Cacciari pubblicata su La Stampa giovedì scorso, rivolta in apparenza al neo-ministro della cultura ma in realtà rivolta alla politica e alla cultura in tutta la loro estensione. Era una lettera che esortava al civile confronto delle idee, fermo restando l’antagonismo e la competizione, anche per contendersi l’ormai proverbiale egemonia culturale che egli reputa una sana e legittima aspirazione, a sinistra come a destra. Il filosofo si richiamava al pensiero di Croce e di Gentile e quindi a quello di Gramsci, che “non è comprensibile senza l’attualismo gentiliano”. Coglieva gli intrecci dietro le contrapposizioni, le eredità trasversali, le comuni radici, oltre gli opposti destini. Riconosceva il debito verso i teorici conservatori delle èlite, come Mosca e Pareto, oltre Tocqueville e Marx. E si rivolgeva infine alla scuola e all’università, che sono in realtà di competenza di altri ministeri, a conferma che il suo appello era solo in apparenza rivolto al successore di Sangiuliano. D’altra parte anche i temi affrontati non sono di pertinenza di un ministero ma attengono al “campo largo” della cultura. Il professore individuava infine il vero avversario di ogni cultura nell’impasto dominante di egemonia del mercato, della tecnica e del politicamente corretto. Intruglio letale.

Nessuno in politica sembra aver colto l’appello di Cacciari, neanche al governo: eppure era il primo, autorevole “intellettuale di sinistra” che si rivolgeva a loro in chiave non polemica ma costruttiva superando la tempesta di odio e disprezzo montata sul caso Boccia. L’unica attenuante del corale silenzio è che riconoscono la vanità dello sforzo, sanno che la politica è inerme e impotente, non può nulla né sulle decisioni che contano (economiche, militari, strategiche) né sui temi alti come la cultura e le idee. Ma neanche gli intellettuali hanno colto l’appello di Cacciari per riprendere, confutare, riflettere sulle sue tesi; neanche il “clero” progressista di sinistra, la cupola intellettuale del nostro Paese. Questo conferma tre cose, racchiusa in una: nessuno vuole uscire di casa. Ovvero nessuno vuole esporsi e divergere dal branco, nessuno vuole dialogare con nessuno, ognuno ha i suoi totem e tabù; nessuno ha interesse e fiducia nelle iniziative culturali e nelle aperture extracondominiali.

L’ideologia inclusiva regge notoriamente sull’esclusione, come la democrazia si fonda sulla negazione del dissenso. E poi non ci sono più eredi di Gentile e di Croce, ma nemmeno di Gramsci, Pareto e Mosca; solo caricature, furbetti in transito e ripetitori automatici e militanti. Nessuno li legge, meno di nessuno li capisce.

Ma soprattutto nessuno tiene più alla “battaglia delle idee”, come la chiama ancora epicamente, eroicamente Cacciari: di quella battaglia ci sono solo i morti sul campo, visti come ingombranti carcasse e carogne; più sciacalli e avvoltoi che girano intorno. Le prime a morire furono le idee.

Ho trovato in Cacciari un insperato sussulto di fiducia e perfino di ottimismo, lui così incline a pronunciare la parola catastrofe ogni tre frasi; lui così burbero e scostante. Un ottimismo temerario quando si è rivolto addirittura alla scuola e ha “minacciato” di estendere lo sguardo all’università. Se la politica è stata ormai sterilizzata dal veterinario e non può più riprodursi accoppiandosi con la cultura, anche la scuola e l’università sembrano ormai agli antipodi da quella visione culturale e civile che Cacciari generosamente cita.

Ma il silenzio tombale di politica e cultura narra l’impossibilità di rigenerare, rianimare una cultura politica, e documenta che la politica è ormai lontana dalla cultura, come la cultura è lontana dalle idee, dagli arditi progetti, dai dialoghi e dal mettersi in gioco. Gentile, Croce, Gramsci e gli altri distano ormai anni luce da noi, e non perché siano stati sostituiti da nuovi interpreti, ma perché i loro temi, i loro pensieri, le loro passioni civili non si usano più e al loro posto c’è il nulla o quella pappa occidentale coi suddetti ingredienti tecno-mercantili-ideologici. Una pappa che funge ormai da barriera preculturale: ossia impedisce, ostruisce l’accesso alla cultura e alle sue controversie, pone uno sbarramento pregiudiziale che impedisce ogni pensiero critico e ogni apertura.

Il problema allora non è quello di iscrivere Dante alla destra, per citare il riferimento ironico di Cacciari a una boutade di Sangiuliano; semmai quello di iscrivere la destra (e la sinistra) a Dante; sono loro che hanno bisogno di trarre ispirazione dall’altissimo Poeta e non lui ad aderire post-mortem a un partito o a un’etichetta politica.

Resta lo sconforto nel notare che ogni raro tentativo di aprire un confronto, accendere una contesa, rianimare i versanti del pensiero si spegne nel vuoto, nel silenzio e nell’inavvertenza. Tutti restano a casa, a inveire o a tacere, senza mai sforzarsi di rimettere in discussione il loro repertorio bollito. E d’altra parte, da quanti anni è stato abolito il confronto tra voci realmente differenti? Si sono atrofizzati gli arti e i pensieri, ormai, in questa ripetizione del già detto o in questa omertà a catena. Lo dico da Modena, invitato per una lectio in piazza, al festival di filosofia: luogo perfetto per questa riflessione…

Cacciari ci prova, esce di casa, va sulla strada o sul canale (essendo veneziano); citofona e invita a scendere. Ma non risponde nessuno. Poi non lamentatevi se alla fine arriveranno i tartari a movimentare questo deserto.


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