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Quando si parla tanto per parlare

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(di Michele Serra – repubblica.it) – Ma cosa avrà voluto dire il portavoce del Cremlino, signor Peskov, commentando il quasi-attentato a Trump con queste testuali parole: “giocare con il fuoco ha le sue conseguenze”? Cos’è, un quesito della Settimana Enigmistica? Partecipava a un concorso di proverbi russi? Ha letto l’ultimo rigo di una pagina di Frate Indovino senza citare la fonte? Voleva essere spiritoso, o finemente allusivo, pur non essendo richiesto dal suo contratto e dalle sue mansioni essere spiritoso o finemente allusivo?Nella tragedia del mondo, la ridicolaggine del potere non ci è di conforto. Non si pretende che capi di Stato, ministri e loro portaborse parlino come Tolstoj, o Borges, o Paul Auster. Fanno quello che possono, poveracci. Ma c’è qualcosa di osceno nella futilità e nella vuotaggine di certe dichiarazioni. Mentre il mondo, come è d’uso, sanguina (anche grazie al valido contributo del datore di lavoro di Peskov), o si ha qualcosa di sensato e di utile da dire, specie se si parla da pulpiti rilevanti, o è molto più decente tacere. Non ne sa un tubo, Peskov, di quello che è accaduto attorno a un campo di golf in America. Perché non chiude il becco?Invece questi parlano, e raramente è per dire qualcosa che ci interessa per davvero, che spiega qualcosa, che illumina una zona d’ombra, che aiuta a capire, che ci riguarda da vicino. Parlano per formalità, o per convenienza, o per “lanciare messaggi” non a noi, ma ai loro consimili, perché il potere è una consorteria mondiale. Mio padre diceva: “quello parla solo per dare aria ai denti”. Mi sembra un’espressione efficace, per questo ve la riporto.


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