Guerra continua – Sotto traccia. Nel testo della risoluzione votata in Europa c’è anche un sì a destinare ulteriori investimenti a Zelensky

(Di Giacomo Salvini – ilfattoquotidiano.it) – Fornire lo 0,25% del Prodotto interno lordo annuo per la causa ucraina. Cioè, nel caso italiano, una bella cifra: circa 5 miliardi di euro. Un impegno che pesa sul governo Meloni dopo l’approvazione della mozione di giovedì al Parlamento europeo. Il documento sul “Proseguimento del sostegno finanziario e militare all’Ucraina da parte degli Stati membri dell’Ue” ha fatto discutere in Italia soprattutto per la decisione dei partiti di governo italiani di dire “no” all’uso delle armi Nato per colpire obiettivi russi, ma è passato inosservato l’impegno finanziario che i partiti di maggioranza dovranno rispettare avendo votato la risoluzione.
La mozione del Parlamento europeo, va precisato, non è vincolante in alcun modo. I governi possono non applicarla senza incorrere in alcun tipo di sanzione. Ma l’impegno politico è significativo soprattutto alla luce del fatto che il governo Meloni sta provando in tutti i modi a trovare risorse per la legge di Bilancio a costo di ipotizzare una tassa sugli extraprofitti bancari e si è impegnata ad aumentare le spese militari passando dall’1,45 all’1,6% del Pil annuo.
L’articolo 9 della mozione è stata inserita per volontà del Partito Popolare Europeo, di cui fa parte Forza Italia, che ad aprile aveva approvato un position paper (un documento che serve per indicare la posizione su un tema specifico) che si intitolava proprio così: “Dare lo 0,25% del Pil per la vittoria dell’Ucraina”. Il rapporto iniziava così: “L’Ucraina deve vincere. La Russia deve essere sconfitta. La pace deve essere ristabilita. L’Europa deve rafforzare la sua sicurezza e la sua difesa. Per raggiungere questo obiettivo, le democrazie occidentali dovrebbero destinare lo 0,25% del loro Pil all’assistenza militare dell’Ucraina”.
Così quel passaggio è stato inserito ora nella nuova mozione approvata giovedì dal Parlamento europeo: oltre a chiedere che gli Stati membri accelerino nella consegna di “forniture di armi e munizioni”, il nuovo testo impegna tutti gli Stati membri dell’Ue e gli alleati della Nato a “impegnarsi collettivamente e individualmente a fornire sostegno militare all’Ucraina con almeno lo 0,25% del loro Pil annuo”.
Forza Italia (in dissenso con il Ppe) e Fratelli d’Italia hanno votato contro sull’articolo 8 – cioè quello che chiede di eliminare il veto sull’uso di armi italiane in Russia – ma si sono spaccate sull’articolo 9 che prevede l’impegno finanziario: Fratelli d’Italia ha votato “no”, mentre Forza Italia ha detto “sì”. A confermarlo è il capogruppo al Parlamento Ue di Forza Italia, Fulvio Martusciello: “Noi ci siamo distinti solo sull’articolo 8 in linea con la posizione del governo italiano”, spiega. La Lega, invece, ha votato “no” a tutta la mozione: “Non possiamo votare l’impegno che fa aumentare le spese a Kiev dello 0,25% del Pil”, ha detto il capogruppo del Carroccio Paolo Borchia.
È molto complicato che l’Italia possa arrivare a investire lo 0,25% del proprio Pil annuo per aiutare l’Ucraina visto che al 2023 Roma aveva speso circa 800 milioni in tutto per gli equipaggiamenti all’esercito di Kiev.
Ma Meloni dovrà presto affrontare il tema delle spese militari nella legge di Bilancio: durante la sua visita a Washington di luglio, al vertice Nato, la premier italiana si è impegnata ad aumentare le spese militari dall’1,45 all’1.6% rispetto al Pil. In tutto circa 2 miliardi che dovranno essere trovati nelle pieghe del Bilancio per rispettare gli impegni presi con gli alleati. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha preso l’impegno anche all’ultimo vertice a Ramstein, ha avanzato la richiesta al collega di governo Giancarlo Giorgetti. Ma non è chiaro se l’esecutivo riuscirà a trovare queste risorse. E la possibile vittoria di Donald Trump a novembre potrebbe paradossalmente peggiorare questa situazione: il candidato repubblicano alla presidenza in passato ha addirittura proposto di buttare fuori dalla Nato quei Paesi che non rispettano l’impegno del 2% del Pil in spese militari.