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L’highlander Vespa afflitto dalla malattia più umana: l’invidia

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(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – Col rischio (anzi certezza) di raccogliere in questa sede solo fischi per quanto sto per dire, affermo con convinzione di ritenere Bruno Vespa un professionista preparato e capace. Come intervistatore (quando vuole) è bravissimo, e ne sa qualcosa Beppe Grillo (che nel 2014 ne uscì malissimo). Ottimo conduttore, preparato e per questo furbo come pochi a far fare agli ospiti sgraditi la figura del torsolo e viceversa. Se accetti di interloquire con lui (e accade per forza tra novembre e dicembre, quando fa il giro delle sette chiese per promuovere il suo immancabile tomo pre-natalizio), devi essere molto in forma. Tali qualità, che potrebbe negare solo chi (e son tanti) lo odia con tutto se stesso, diventano però aggravanti quando (spesso o quasi sempre) Vespa entra in modalità “forte coi deboli e debole coi forti”, laddove qui il “forte” è quasi sempre il potere (meglio se di centrodestra).

A galla da più di 50 anni, Vespa non ha mai nascosto questa sua radicata indole filo-governativa. Da direttore del Tg1 disse che la Dc era “il suo editore di riferimento” (uh). Parlando al telefono nel 2005 col portavoce di Fini, gli promise che “la puntata gliela confezioniamo addosso”. Le sue amorevoli “genuflessioni giornalistiche” a Berlusconi le ricordano tutti. Vespa non è persona sgarbata (tutt’altro) e ha enorme considerazione di se stesso. Pretende contratti faraonici e trattamenti preferenziali, non manca di ricordare a ogni piè sospinto quanto i suoi libri (che forse nessuno ha mai letto per intero) vendano a scatafascio e ama crivellare tutti quelli che percepisce distanti, ora ricordando loro le condanne per diffamazioni (condanne che in carriera si è beccato ovviamente pure lui) e ora scrivendo articoli da improbabile Savonarola dove critica inesistenti magagne etiche di questo o quel “collega moralista” (salvo poi vedere di persona quello stesso collega il giorno dopo e riempirlo coerentemente di complimenti). Vespa ha 80 anni e sembra invincibile. Si è messo a fare vini (che hanno servito pure al G7 e che sono vini “cerchiobottisti” come lui), scherza sulla vulgata secondo cui sarebbe il figlio segreto del Duce, derubrica a “gaffe” quella volta in cui a 25 anni disse in Rai “Hanno arrestato il colpevole”, riferito a Valpreda (erroneamente accusato all’inizio della strage di Piazza Fontana). Organizza puntate epocali in cui riesce a parlare di “aborto indotto” solo con ospiti maschili. E partorisce titoli onnicomprensivi che non voglion dire una mazza, tipo “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)”. È un highlander e non pare avere punti deboli. Ma due ne ha.

Il primo è che è permaloso e vendicativo come una mina, come del resto molti umani (compreso chi scrive). Il secondo è che soffre da morire di non essere amato. Ha continuamente bisogno di riconoscimenti e apprezzamenti, anche se poi fa finta di farsi bastare lo share (che peraltro non di rado piange). Non è che soffra le contestazioni in treno o per strada (ogni tanto gli capita). No: Vespa soffre il non essere amato. È quella la sua kryptonite. Come giorni fa, quando ha abbandonato (piccato come un bambino) le celebrazioni dei 100 anni della radio e dei 70 della tivù perché nessuno lo aveva citato. “Non una parola, né una immagine sui 30 anni di Porta a Porta. Cambiano le stagioni, ma l’anima profonda della Rai resta sempre dalla stessa parte”, ha frignato su X. Traduzione: “Sono in sella da più di mezzo secolo, ma la critica (in mano alla sinistra) ce l’ha con me e il pubblico non mi ama”. Eccolo il suo tallone d’Achille. Il suo astio per Santoro, Grillo, Fatto e tutti quelli che riescono a riempire teatri e piazze, è figlio dell’umanissima invidia di un uomo di potere, che però – nel mondo reale – beccherebbe quasi soltanto pomodori in faccia e non riempirebbe neanche un teatrino da sei posti scontati. Per questo, da sempre e per sempre, l’highlander Vespa soffre. Non mollare, Bruno.


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