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“Andate in onda costi quel che costi”: l’ordine dei vertici Rai ai direttori amici per sabotare lo sciopero

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Il retroscena. Chiocci e Preziosi organizzano i turni dei fedelissimi: “Annullati i riposi”. Per 5 minuti di straordinari impiegata l’unica cronista al lavoro in Sicilia. Liti furibonde al Tg2 poi il telegiornale breve senza cronaca ed economia

“Andate in onda costi quel che costi”: l’ordine dei vertici Rai ai direttori amici per sabotare lo sciopero

(di Giovanna Vitale – repubblica.it) – Neanche ai tempi del governo Berlusconi, e di Augusto Minzolini direttore del Tg1, si era arrivati a tanto. Sabotare uno sciopero indetto dall’unico sindacato riconosciuto in Rai per far felice l’esecutivo in carica. Mai il blackout informativo era stato violato, confezionando un paio di edizioni incomplete e a minutaggio ridotto, pur di dimostrare che il vento nella Tv pubblica è cambiato: ora comanda la destra.

La mobilitazione contro le politiche aziendali, a difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dell’informazione, doveva fallire. Non nei numeri — visto che, nonostante il clima di terrore instaurato a Saxa Rubra, la stragrande maggioranza dei giornalisti ha aderito alla protesta — bensì nel messaggio, chiaro e inequivocabile, che avrebbero recapitato i notiziari trasmessi alla bell’e meglio sui due canali principali nella prima giornata di astensione dal lavoro proclamata dall’Usigrai. Venti minuti all’ora di pranzo e altrettanti a sera sulla rete ammiraglia, con servizi rabberciati, lunghi collegamenti dalle sedi estere e immagini di repertorio. Per il Tg2, edizione integrale alle 13 e appena 9 minuti all’ora di cena, ma solo per dedicare più spazio ai cinque morti sul lavoro nel palermitano. Quanto basta per confondere il pubblico, dare l’impressione che non sia successo niente: una giornata come un’altra.

«Dovete andare in onda, costi quel che costi». L’ordine partito dal settimo piano di Viale Mazzini allorché, a fine aprile, viene indetto lo sciopero, è stato rispettato. Per più di una settimana i direttori della testata ammiraglia Gian Marco Chiocci e di quella cadetta Antonio Preziosi, insieme a Paolo Petrecca di Rainews24, compulsano gli elenchi delle presenze, contattano i colleghi per carpirne le intenzioni, spostano e programmato i turni — nella line e alla conduzione — in base al numero di “crumiri” previsti in redazione. Mentre l’Unirai, neonato sindacato meloniano pilotato dal destrissimo dg Giampaolo Rossi, chiama a raccolta le truppe per essere «tutti operativi lunedì 6 maggio. Chi per sbaglio si ritrova di riposo chieda di cambiare», il suggerimento contenuto nell’avviso spedito sabato per colmare i vuoti. «Bisogna essere presenti per coprire tutto il territorio nazionale qualsiasi cosa accada, anche per i Tg nazionali che andranno regolarmente in onda», il pronostico che sfregia un diritto costituzionale. «Facciamo vedere che Unirai può mandare avanti l’azienda. E che con i suoi iscritti è in grado di raccontare tutto ciò che accade da New York a Lecce!».

Una prova di forza. Preordinata e preparata con cura. Il cui avamposto è il Tg1, militarizzato dall’uomo che la premier in persona ha assiso sulla vetta. Il quale, maestro di lusinghe, non lascia nulla al caso. Per garantire il boicottaggio, fin dalle 6 del mattino Chiocci spedisce a Saxa Rubra un secondo vicedirettore, Francesco Primozich, in supporto a Maria Rita Grieco incaricata di firmare l’edizione dell’alba. Non contento, le piazza alle costole pure Mario Scelba, discendente del tristemente noto ministro dell’Interno, nonché uomo di fiducia del direttore. I tre predispongono il flash delle 8 e la riunione di sommario delle 9. Mentre la redazione comincia a popolarsi. Ci sono tutti i vice, tranne le due in quota Pd, Elisa Anzaldo e Costanza Crescimbeni, che prendono un riposo diplomatico; i capiredattori al gran completo, molti graduati, diversi redattori. Novantatré in totale, un record. Più della metà di quelli che non si sono presentati: 43.

La macchina inizia girare. A chi c’è, viene raccomandato di non lavorare per più di 7 ore e 50, così da dribblare la denuncia per comportamento antisindacale. I settori sono coperti, il giornale si può fare. Anche senza chigista, Francesco Maesano: nonostante il Cdm fissato per il pomeriggio, s’è messo in ferie per evitare imbarazzi.

Il clou si raggiunge quando, subito dopo pranzo, arriva la notizia della tragedia di Casteldaccia. Chiocci si attacca al telefono e, senza consultare nessuno, chiama il capo del Personale per chiedere di utilizzare, in barba allo sciopero in corso, l’unica cronista in servizio al Tg Sicilia, che nel frattempo era stato fermato dalla protesta sindacale. Arriva l’ok e lui la invia sul luogo dell’incidente. Approntando un’edizione straordinaria del telegiornale, che alle 17 avrebbe dovuto saltare. Cinque minuti in tutto: sufficienti però a dimostrare che si può fare qualunque cosa, se il direttore vuole. Piegando anche il Cdr, che pure aveva votato il pacchetto Usigrai: a fine giornata, in un comunicato ecumenico, Giovanna Cucè e Caterina Proietti si fanno une e trine, dichiarandosi «dalla parte di chi ha scioperato e di chi non lo ha fatto, pensando al futuro della Rai».

Scene simili, ma condite da liti furibonde, al Tg2. Che si spacca come una mela: 51 presenti, 49 a casa. Tutti i vicedirettori al loro posto, incluso Massimo D’Amore (indicato dal Pd) che firma l’edizione ridotta delle 20,30. I settori economia e cronaca sono deserti, ma si decide di andare in onda lo stesso, rinunciando a quei servizi. L’ordine è chiaro e bisogna eseguirlo. A dispetto del cumulo di macerie lasciato sul campo: redazioni divise, colleghi messi gli uni contro gli altri, liste di giornalisti buoni (che hanno lavorato) e di giornalisti cattivi (che si sono astenuti). Triste bilancio della “guerra civile” scatenata dal governo nel cuore dell’informazione nazionale. Con cui da oggi tutti dovranno fare i conti.


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