
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Del delirio di Miguel Bosé, che ha imputato l’alluvione di Valencia alle scie chimiche, salverei una cosa sola: l’accusa alla politica di aver usato il cambiamento climatico come alibi per non fare nulla.
A differenza sua, al cambiamento climatico io ci credo eccome, e non solo perché siamo a novembre e sto scrivendo in maniche di camicia. La pioggerellina degli anni in cui Bosé cantava «tutti poeti noi del 56» è stata sostituita dalle secchiate d’acqua e ci sono giorni dove a Genova e Barcellona il vento soffia come all’Avana, mentre i pescatori andalusi e siciliani prendono all’amo dei pesci che finora avevano visto solo in qualche documentario sulle Bahamas.
Le cause di questa mutazione possono anche essere oggetto di dibattito (per quanto…). Non la sua esistenza. Quella è un dato di fatto incontrovertibile e reclama misure immediate. Argini e dighe da rifare, boschi da rimpolpare, strade, abitazioni e interi paesi e quartieri da mettere in sicurezza, anche abbattendo ciò che può diventare un pericolo: la famosa prevenzione, che le istituzioni però tendono a ignorare perché non porta voti, né abbastanza denari.
Preoccuparsi del futuro si è trasformato in una scusa per non occuparsi del presente. È più comodo riempirsi la bocca con il Green Deal che verrà, piuttosto che sforzarsi di governare la transizione, prendendo atto che nel frattempo l’Europa è già una nuova zona dei Tropici e va trattata come tale.