Quando il sindaco di una città capoluogo, come Marco Bucci a Genova, si candida alle elezioni regionali e le vince per 8.224 voti, sostenuto da tutto lo schieramento della maggioranza di governo, non c’è poi da strapparsi tanto […]

(di Giovanni Valentini – ilfattoquotidiano.it) – “Noi saremo ancora più radicali del passato sui principi, ma moderati nei toni” (Giuseppe Conte, presidente M5S, 4.09.21). “Il Pd da solo non basta per sconfiggere la destra” (Elly Schlein, segretaria Pd, 29.10.24)
Quando il sindaco di una città capoluogo, come Marco Bucci a Genova, si candida alle elezioni regionali e le vince per 8.224 voti, sostenuto da tutto lo schieramento della maggioranza di governo, non c’è poi da strapparsi tanto i capelli e abbandonarsi alle geremiadi. Quello che colpisce, piuttosto, è che ciò accada in un territorio politico appena attraversato da una tempesta giudiziaria per un’inchiesta sulla “corruzione ambientale”, come avrebbe detto Antonio Di Pietro. Una vicenda al termine della quale il protagonista principale, l’ex governatore Giovanni Toti, che aveva promesso di “dimostrare” la propria innocenza, ha dovuto poi chiedere un patteggiamento per farsi condannare a due anni e un mese, convertiti in 1.500 ore di servizi sociali.
Né può sorprendere la débâcle elettorale del Movimento 5 Stelle, proprio nella città e nella Regione del suo fondatore e “padre padrone” che l’ha rinnegato alla vigilia del voto. L’“effetto Grillo”, per dir così, avrà influito senz’altro sul disimpegno e sull’astensionismo dei suoi seguaci. Tant’è che la “listina” dell’ex Nicola Morra è riuscita a raccogliere un inutile 0,9%: anche se “la somma non fa il totale”, come avverte Marco Travaglio, quel pugno di voti sarebbe bastato sulla carta a colmare il gap fra Bucci e il candidato del centrosinistra, Andrea Orlando.
Mentre in molti si affrettano a dichiarare la “morte presunta” dei Cinquestelle, la crisi determinata da questa sconfitta locale potrebbe anche risolversi in una crisi di crescita. Tanto più che lo stesso Giuseppe Conte s’era già preoccupato di convocare un’Assemblea costituente a fine novembre, proprio per rifondare il Movimento: cioè, per ridefinire la sua identità e la sua collocazione politica, secondo i valori e i principi che spetterà alla base sancire. Eventualmente, cambiando simbolo e nome.
Piaccia o meno, non c’è dubbio che la radicalità rimane il connotato fondamentale dei “grillini” superstiti. Dalla legalità alla giustizia, dalla solidarietà all’equità sociale, dalla riduzione delle disuguaglianze alla lotta contro la corruzione, questi sono i tratti genetici del Movimento. E non è escluso che sia stata proprio la radicalità, manifestata attraverso il veto a Italia Viva, a favorire in questa occasione il “boom” del Partito democratico che è diventato il primo in Liguria doppiando FdI.
Nelle Politiche del 2018, il M5S – al suo massimo storico – ottenne più del 32%. Ma poi, non potendo governare da solo, dovette allearsi con la Lega di Salvini per formare una maggioranza e un esecutivo che durarono appena un anno. Probabilmente, se ora il Movimento si isolasse all’opposizione, potrebbe pure recuperare consensi, ma non riuscirebbe a soddisfare i bisogni e gli interessi dei suoi elettori. Sarebbe un’opposizione sterile e masochista: una forma di solipsismo collettivo, per usare un ossimoro.
Il centro-destra-destra è “uno e trino”, ammesso che l’espressione non appaia blasfema. Per batterlo, in nome dell’alternanza, occorre un centro-sinistra-sinistra: vale a dire uno schieramento a tre gambe, con un Pd riformista, un M5S radicale e un’Avs ecologista. Ma le forze che lo compongono devono presentarsi agli elettori diverse e complementari, con un programma che contenga una visione il più possibile condivisa dalla società. Altrimenti, si lascia campo aperto alla destra. E questa, in mancanza di alternative, darà il peggio di sé: a cui, come si sa, non c’è mai fine.