
(Tommaso Merlo) – Vedere un re preso a palle di fango dona speranza per il futuro. Filippo VI si è recato in quel di Valencia per esprimere cordoglio ai suoi sudditi e a momenti ci lascia la testa coronata. Lui e il primo ministro Sanchez che vista la malparata se l’è svignata a gambe levate. Una lezione per tutti i suoi colleghi europei: se i politicanti non prendono seriamente la crisi ambientale e preferiscono spendere i soldi pubblici in armamenti e oltre scempiaggini, allora si devono organizzare meglio coi soccorsi e con la gestione anche mediatica delle catastrofi. Servono ingenti truppe di spalatori mentre Lorsignori meglio che restino all’asciutto nei palazzi limitandosi ad esprimere il loro sincero dolore cinguettando frasi fatte dal cellulare. Ma i politici per fortuna vanno e vengono, i regnanti restano. Per questo il re spagnolo si è intrattenuto più a lungo tra la folla imbestialita di Valencia, finché non ha trovato qualche suddito disposto ad inchinarsi al suo cospetto e scattarci una foto. Sanchez rischia giusto la poltrona, Filippo VI il trono. Quanto ai responsabili dello spiacevole episodio, secondo Sua Maestà sono le fake news. Già, a conferma di come una delle poche cose di cui andare fieri dell’Italia è che ha cacciato il re a calci nel didietro. Che degli individui nascano superiori ad altri è davvero intollerabile e certi grotteschi carnevali monarchici sono davvero insopportabili, dovrebbero essere spodestati anche dalle pagine di cronaca rosa. Ma nonostante abbiano ancora i Borbone tra i piedi, gli spagnoli hanno dimostrato vitalità e fegato. Non come gli italiani che abbassano la testa perfino quando finiscono sott’acqua. Una rassegnazione che si sta cronicizzando. Nessuno che segue e vota più, nessuno che protesta. Un paese disilluso in mano alle peggiori classi dirigenti dai tempi della discesa di Federico Barbarossa. Ma c’è un altro re che se la passa maluccio in questo periodo, Carlo III d’Inghilterra. Reduce dalla verdura marcia ricevuta in Australia da sudditi infedeli, qualche giorno fa Sua Maestà si è recato alle isole Samoa per presiedere una riunione del Commonwealth, un vergognoso relitto dell’era coloniale che ancora comprende decine di regnetti. Invece che con fiori profumati e cortesi baciamano, il re inglese è stato accolto da mugugni e musi lunghi. Le ex colonie pretendono non solo scuse formali per l’abominevole era schiavista ma anche un cospicuo risarcimento. L’ennesima figuraccia reale che potrebbe costare cara al Regno Unito al punto che si è dovuto scomodare perfino il nuovo e detestato premier Starmer per buttare la palla in tribuna. Davvero un pessimo premier considerando che solo una decina di giorni fa, quel che resta di Biden ha chiesto formalmente scusa ai nativi americani per un genocidio che tra le sue chicche annovera anche 150 anni durante i quali i figli degli indiani furono strappati dalle loro famiglie ed educati forzosamente dai coloni in modo che non ereditassero la loro cultura. Altra vergogna, altro segnale di speranza per il futuro. A volte il cambiamento è talmente lento da scoraggiare ma in realtà non si ferma mai. I traumi si tramandano tra generazioni, la memoria si rinnova e prima o poi la verità trova sempre un modo per riemergere spazzando via ogni ipocrisia. Proprio quello che sta succedendo in questo periodo turbolento in cui riemerge l’orrenda storia coloniale occidentale coi suoi secoli di genocidi e sfruttamento di uomini e risorse altrui. Il cambiamento procede ad ondate per colpa dei potenti a cui non conviene e degli indifferenti. Può rallentare ma prima o poi accelera a seguito di eventi e di fasi favorevoli. Come quella che si respira oggi da Valencia fino alle ex colonie inglesi passando dalle riserve indiane e al martoriato Medioriente. È così. Quando i popoli si rendono conto di essere loro il motore, la storia riparte.