Il governatore non risponde ai cronisti dopo l’ok dal Consiglio, ci sarà tempo per spiegare che la riforma appena approvata non è una norma “ad personam”. Magari in diretta social, senza contraddittorio

(di Dario del Porto – repubblica.it) – Quando il consigliere renziano Tommaso Pellegrino annuncia che Italia Viva è pronta «a sostenere il presidente De Luca anche per un terzo mandato», dalla tasca del governatore spunta un piccolo corno portafortuna.
Una concessione alla scaramanzia, un gesto presumibilmente destinato a fornire altro materiale per le riuscite imitazioni di Maurizio Crozza, ma soprattutto una spia della tensione che accompagna l’inquilino di Palazzo Santa Lucia nel giorno della sua personalissima “partita della vita”.
Pur di garantire a sé stesso (e, norma alla mano, a nessun altro dopo di lui) la possibilità di farsi eleggere per la terza volta alla presidenza della Campania, De Luca si è mosso al tempo stesso con ostinazione e tattica.
Non ha esitato a consumare lo strappo più profondo con i vertici nazionali del Pd, il partito nel quale, almeno fino a questo momento, continua a far parte e di cui il figlio Piero è deputato; ma ha saputo serrare i ranghi della compagine dem in consiglio regionale, arrivata alla fine compatta al voto per quella “leggina” pur espressamente bocciata dalla segretaria Elly Schlein.

Una mano di poker dalla posta altissima, dunque, nella quale sul piatto finiscono, contemporaneamente, il futuro istituzionale del governatore, le prospettive politiche del figlio, gli equilibri del Pd e della coalizione di centrosinistra a un anno dalle elezioni regionali, oltre ai possibili contraccolpi sul Comune di Napoli guidato dal sindaco Gaetani Manfredi.

Nonostante tutto, da giocatore consumato, al suo arrivo nella sala del Centro direzionale, De Luca ostenta tranquillità. Prende posto ai banchi della giunta, tra le due assessore Lucia Fortini e Armida Filippelli. Ascolta il capogruppo del Pd Mario Casillo mentre chiede di far proseguire la seduta a oltranza, annuisce quando passa l’inversione dell’ordine del giorno che anticipa la discussione sull’autonomia differenziata.
Quindi interviene nel dibattito per prendere le distanze dal referendum contro il regionalismo fortemente voluto dalla Lega («sarà un’occasione per creare confusione e non far capire niente alla gente. Rimane sullo sfondo», dice) per poi concedere una delle sue battute: «Dobbiamo proporci di fare una discussione semplificata e non stritolare i perpendicoli ai nostri interlocutori».

Ma è poco più di un semplice “riscaldamento” prima della finale. Con un formidabile ossimoro, la proposta di legge che si intitola “disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di presidente della giunta regionale” si accompagna ad un cavillo che fa decorrere «ai fini dell’applicazione» il computo del tetto di due mandati da quello in corso alla data di entrata in vigore della norma, azzerando il primo quinquennio di De Luca che potrà così ricandidarsi per la terza volta.
La “maggioranza-Vincenzo” tiene, il governatore incassa il risultato e pazienza se il Nazareno insiste: «Andrà a sbattere contro un muro, non sarà lui il candidato». Evidentemente De Luca è convinto di poter dare le carte sin dalla prossima mano, quando si dovrà scegliere il candidato e potrà, magari bluffando, minacciare di correre da solo mandando in frantumi il centrosinistra.
Dopo il voto il governatore si intrattiene con alcuni consiglieri con uno dei suoi consueti siparietti, accompagnati da qualche fragorosa (ossequiosa?) risata. Poi si incammina verso l’ascensore, il cornetto portafortuna di nuovo in tasca, e resta impassibile alle domande dei giornalisti. Ci sarà tempo per spiegare che la riforma appena approvata non è una norma “ad personam”. Magari in diretta social, senza contraddittorio.