Il leader sulla costituente: “Non possiamo tornare alla logica del vaffa”. Appendino critica: “Il Pd ci sta fagocitando” Renzi: “I 5 Stelle senza coalizione dove vanno?”. No di Avs a Iv. Dem in festa, Schlein ringrazia: “Tutti hanno aiutato”

(di Matteo Pucciarelli – repubblica.it) – ROMA — «Se il percorso fatto fin qui verrà messo in discussione ne trarrò le conseguenze, come è giusto che sia», dice Giuseppe Conte. Il presidente del M5S aveva già espresso un concetto simile a settembre, ma ridetto dopo la nuova débâcle delle liste 5 Stelle in Emilia-Romagna e Umbria, assume tutto un altro peso. Sabato e domenica c’è in programma la conclusione dell’assemblea costituente del Movimento a Roma e Conte ci arriva con un partito in piena crisi di consenso e prospettiva.
L’ex premier si barcamena tra spinte diverse: Beppe Grillo che cannoneggia il quartier generale da mesi, e giusto ieri ha cripticamente dato dell’ultimo giapponese a Conte su Whatsapp; un pezzo di base, capitanata da Danilo Toninelli in chiaro («si è scavato la fossa da solo», spiega l’ex ministro riferendosi al leader) e Virginia Raggi dietro le quinte, giudica semi-defunto il M5S. Poi ci sono diversità di vedute tra i contiani: Roberto Fico, Alessandra Todde e Stefano Patuanelli sono per collocare definitivamente i 5 Stelle nel centrosinistra, Chiara Appendino è per le mani libere o quasi. «La mancanza di un’identità forte — sostiene l’ex sindaca di Torino — sta facendo disperdere il nostro vento nelle vele del Pd. In questo sciagurato schema ci stanno fagocitando». Linea che ricalca quella di un consigliere privilegiato del Movimento come il direttore del Fatto Marco Travaglio.
«Non possiamo riproporre la logica del “vaffa” dopo aver assunto responsabilità di governo», ragiona Conte ai microfoni di Rai News 24. Solo che adesso il M5S si trova in un vicolo cieco: stabilizzare l’alleanza con il Pd non porta voti, mandarla al macero farebbe perdere credibilità, restare nel limbo idem. Uno dei ragionamenti che si cominciano a fare anche tra pezzi di maggioranza interna al Movimento è anche che la leadership contiana sia ormai appannata. Corsi e ricorsi storici: dopo il cattivo risultato delle elezioni emiliane 2020, Luigi Di Maio decise il passo indietro da capo politico.
Così la crisi del Movimento rovina un po’ la festa a tutto il campo progressista. In due anni gli equilibri politici sono cambiati molto. Alle Politiche del 2022, FdI prende il 26 per cento, il Pd è al 19 per cento e il M5S al 15,6; tempo due mesi e i sondaggi registrano il sorpasso: M5S secondo partito che scalza il Pd, sceso al 16, mentre FdI veleggia attorno al 30. Il film visto nel 2024 invece ribalta tutto. Nelle sei città capoluogo di regione al voto si passa dal 3 a 3 fra centrodestra e centrosinistra al 6 a 0 per il Pd e alleati. Poi, le sette regioni al voto: da 1 a 6 per il centrodestra a 3 a 4, sempre per la coalizione di governo. E se alle politiche tra Pd e FdI c’erano otto punti di distanza, alle europee sono diventati quattro. In casa democratica c’è un certo entusiasmo: la segreteria di Elly Schlein si rafforza, lo stato di salute del partito (43 per cento in Emilia, 30 in Umbria, 28,5 in Liguria) è buono, all’assemblea dei deputati pd alla Camera Schlein ieri è stata accolta con un applauso. «Unità e umiltà, ogni forza ha contribuito» alla vittoria, ribadisce lei.
Clima simile tra i rossoverdi: Avs è stabilmente tra il 4 e il 6 per cento delle europee, a Bologna ha superato il 10. Ma i 5 Stelle così indeboliti fanno saltare i conti. «Per battere le destre abbiamo bisogno di loro», dice Angelo Bonelli. L’arcinemico Matteo Renzi, che incolpa Conte della sconfitta in Liguria, quasi si appella: «Il M5S da solo? Ma ‘ndo va? In tutto il mondo o si sta da una parte o dall’altra. Io non metto veti». Ma Renzi non è gradito né dai 5S né da Avs. «Le sue politiche sono incompatibili con le nostre», commenta Nicola Fratoianni.