Storia del perito elettronico di Torpigna che ricevette la telefonata dell’uomo più ricco del mondo: “Dovresti venire a lavorare per me”. Vita, opere, confessioni e racconti dell’amico romano di Elon Musk

(Salvatore Merlo – ilfoglio.it) – “Più dei razzi che vengono lanciati verso le stelle, più della tecnologia che non ha eguali, sono le persone ad avermi colpito. Gli ingegneri, gli informatici, i saldatori e gli operai che lavorano lì in Texas con Elon Musk a SpaceX. Spesso chiedo loro: ‘Perché lavori qui?’. E mi sento rispondere sempre la stessa cosa. Da tutti. Sia dai super laureati delle grandi università americane sia dagli operai. Tutti dicono di condividere il sogno di Musk. E’ come se lui avesse creato una comunità di persone che condivide lo stesso scopo finale”. E quale sarebbe questo scopo finale? “Far diventare la nostra specie ‘multiplanetaria’: far andare il genere umano nello spazio a riprodursi. A colonizzare altri pianeti. Se ci pensate è politica, è filosofia, è religione. Tutto insieme. Credo che questa sia una cosa che avvicina Musk al cristianesimo, alla figura di Cristo”. Addirittura. “Sì, anche se Musk non si definisce cristiano. L’esplorazione è rivelazione. Ed è consapevolezza che tutto l’universo è stato creato da Dio. La volontà di esplorare l’universo è quasi una ricerca di Dio. E quando Musk dice: ‘Voglio capire l’universo’, ecco io in questa frase ci vedo qualcosa di spirituale e religioso”.
Andrea Stroppa, romano, trent’anni, amico di Elon Musk, secondo tutti i giornali “l’uomo di Musk in Italia”, la persona accusata dalla procura di Roma d’aver ricevuto da un ufficiale dello stato maggiore un documento riservato del nostro ministero degli Esteri, il ragazzo che ha portato da Giorgia Meloni l’inventore della Tesla, quello che viene ricevuto dalle grandi aziende e dai ministri, mi dà appuntamento alla stazione Termini. Alle 19.30. Gli chiedo: “Perché a Termini, teme di essere spiato?”. Risponde lui: “No, qui faccio volontariato. Do da mangiare ai senzatetto con altri volontari legati a una parrocchia di Torpignattara”. Torpignattara, detta “Torpigna”, semiperiferia multietnica (e mitologica di Roma). Quartiere di origine di Stroppa. “Ma per la precisione sono nato alla Marranella. Quella del burrone in cui Alberto Sordi fa schiantare il turista americano: O right o right, me raccomando non girare a destra che c’è il burrone della Marranella”. Un americano a Roma. Appunto.
“Mio padre è un meccanico degli aeroplani. Qualcosa di ‘aero’ anche se non spaziale ce l’avevo in famiglia”. Arriva leggermente in ritardo, Andrea Stroppa. “Il traffico di Roma”. Si sa. Parcheggia l’auto, una Smart a benzina (“ma ho anche una Tesla”), ed eccolo. Sotto i tabelloni dei treni su via Marsala ecco una personcina snella, dal passo rapido e un po’ ondeggiante: sneakers basse, pantaloni di velluto a coste con disegni catarifrangenti, una semplice felpa (“io mi vesto sempre tutto Adidas”). Stroppa non ha l’aria dell’uomo d’affari (“ho costruito per conto mio il prototipo d’uno strumento che misura le aritmie cardiache”), del lobbista (“incontro le aziende e spiego come possono usare la tecnologia di Musk”), del sensale politico (“è stato fantastico far incontrare Musk e Giorgia Meloni”) e finanziario, ma giovane com’è sembra un patito dell’hip-hop o un hacker, almeno come uno se lo può immaginare che sia un hacker. “Sono un nerd lievemente autistico”, dice di sé con ironia. Ma qual è esattamente la sua professione? “Sono un informatico”, risponde. Ho letto che lei faceva l’hacker a diciotto anni. Con Anonymous. “Quella degli hacker è più che altro una cultura legata all’idea libertaria di sfida allo status quo. E’ più un movimento culturale che una professione. In passato ho ‘pensato’ da hacker. Ma quella voglia di libertà e di cambiamento radicale nella società oggi cammina altrove, non nel movimento hacker che è diventato tutto business”.
Lei ha cominciato a lavorare una decina di anni fa con Marco Carrai, amico di Matteo Renzi, imprenditore fiorentino. Ai tempi veniva descritto come un genietto dell’informatica. “Davo una mano a impostare una società di cybersicurezza. Ma io fondamentalmente sono un ricercatore indipendente nell’analisi dei dati”. Che significa? “Molti anni fa studiai e analizzai i dati dei social network. Nel 2013 documentai come era possibile creare delle reti di bot, cioè di finti utenti, e condizionare così le persone e le opinioni pubbliche. La mia ricerca venne pubblicata dal New York Times. Ma ho fatto moltissime altre cose”. E qui Stroppa snocciola una serie di informazioni che riguardano le sue evidentemente ragguardevoli capacità. Con ritmo algebrico e freddezza, nel tono appena nasale della sua voce. “Per esempio ho dimostrato come l’Isis utilizzava Instagram, come utilizzava quelle che oggi chiamiamo le stories di Instagram per comunicare e per propagandare. Feci una ricerca che ha permesso ai servizi di sicurezza di mezzo mondo di individuare i lupi solitari. La giornalista americana Martha Mendoza, che è un premio Pulitzer, citò questa mia ricerca in un articolo sull’Associated Press. Ma ho anche pubblicato, circa otto anni fa, una ricerca sulla contraffazione che venne recuperata dalla Casa Bianca, da Peter Navarro, che era il Direttore del Consiglio nazionale per il commercio della Casa Bianca, in pratica era il ministro del commercio estero di Donald Trump”.
Ma lei non è un ingegnere informatico. “No, non sono laureato. Ho frequentato un istituto tecnico elettronico qui a Roma”. E senta, ma Elon Musk, l’uomo più ricco della Terra, com’è che si accorge dell’esistenza di un perito tecnico elettronico a Roma? “Per via delle ricerche che citavo prima. Quando Musk stava per acquistare Twitter si accorse di questi studi che avevo fatto anche sui social e che avevo pubblicato su internet. Lui era il mio mito, e a un certo punto vedo che su Twitter proprio lui cita questa mia ricerca. Roba da svenire. Allora io gli scrivo: grazie! E sa che accadde?”. Che accadde? “Che lui di botto iniziò a seguirmi su Twitter. Questo succedeva tre anni fa. E tenga conto che tre anni fa lui seguiva cento persone e basta, ora ne segue circa ottocento”. Incredibile. “Abbastanza. Finché un giorno non succede una cosa ancora più incredibile: mi squilla il telefono, vedo questo numero americano…”. Ed era Musk: ciao, sono Elon! “In persona. Una voce inconfondibile”. Siete amici da allora. “Mi viene difficile dirlo, che siamo amici. Mi sembra quasi di approfittarne. Ma lo siamo”.
E come ben si capisce non è affatto vero che la vita scorre tranquilla e incanalata, come un ruscello di cui osservando la sorgente si possono prevedere con una certa approssimazione il percorso e la lunghezza. Da quella prima telefonata tra Stroppa e Musk si sviluppano nuovi intrecci. “Quando Musk stava organizzando l’acquisto di Twitter mi chiese se potevo aiutarlo a risolvere un problema gravissimo che era cominciato già da prima che lui lo comprasse: quello della pedopornografia. Era una piaga, molto diffusa su Twitter. Per lui questa faccenda era una priorità assoluta. Aveva altre idee, modifiche da fare a Twitter, ma mise ogni cosa da parte perché voleva prima debellare la pedopornografia. Vi ricordate quando licenziò un sacco di gente?”. Altroché. “Ebbene era per questo che li cacciava, specie dai reparti che si occupavano di sicurezza: perché non avevano risolto il problema”. E lei lo ha risolto? “Ho aiutato. Musk mi chiamò e mi propose di andare in America a lavorare per Twitter, ma aggiunse anche che se avevo un’idea migliore per aiutarlo sarebbe stato felice di ascoltarmi. E io un’idea migliore ce l’avevo”. Quale? “Gli dissi che se fossi rimasto esterno a Twitter avrei potuto fare un lavoro di revisione, da controllore di chi invece lavorava dall’interno degli uffici di Twitter. Insomma avrei potuto anche contraddirli, correggerli, trovare errori”. E come andò a finire? “Che la cosa ha funzionato. E io dall’Italia ho dato il mio contributo”. Guadagnando molti molti soldi, immagino. “Nemmeno una lira. L’ho fatto gratis”. Gratis? “L’ho fatto con spirito di voler dare una mano”. Ci credo che è diventato miliardario Elon Musk se non paga la gente. “Lui mi avrebbe pagato, io avevo rifiutato di essere assunto. Avevo altri contratti da seguire, faccende da chiudere. Quindi per lui lavoravo a bassa intensità, per così dire. Decisi di farlo un po’ come vengo qui a Termini la sera”. Volontariato.