
(Tommaso Merlo) – I poveri cristi vengono cacciati dal loro posto di lavoro anche quando fanno bene, i potenti passano invece da un disastro all’altro senza mai rispondere di nulla. È questa la disgrazia di paesi come l’Italia. Dura coi poveri cristi, molle coi potenti. Col risultato che nei posti chiave piazziamo il peggio del paese invece che il meglio. Politici ma anche burocrati e giornalisti o presunti tali. È cronaca. Negli ultimi anni c’è stato un esodo biblico di elettori e di lettori, il paese è in un misero guado, eppure ai piani alti girano sempre i soliti noti. Come se nulla fosse, come se la colpa del tracollo epocale fosse dei poveri cristi appunto e non loro. Da noi, i potenti che sguazzano nel pubblico o dove si vive di sussidi, sono in una botte di ferro. Si dimettono solo se casca il mondo, altrimenti tirano avanti fino alla fossa. Nel privato meno. È notizia di queste ore che il manager dell’ex Fiat se ne torna a casa dopo mesi di crisi nera. I manager se falliscono prima o poi se ne vanno anche se non certamente a mani vuote, mentre i padroni fanno i finti tonti e gli operai lottano per sopravvivere agli errori altrui. Ma almeno qualcuno risponde dei risultati, nel pubblico no. È notizia di queste ore la crisi dell’acqua in Sicilia, un problema secolare mai risolto da generazioni di politicanti locali e questo mentre dopo decenni ancora farneticano di Ponte sullo Stretto quando strade e treni locali sono a livello da terzo mondo. La colpa non è di tizio o sempronio, ma della disgrazia italiana di essere priva di senso civico e quindi di meritocrazia ai piani alti. Esigente coi poveri cristi e accomodante coi potenti. Con personaggi senza scrupoli che sgomitano per un posticino al sole e una volta conquistato fanno di tutto per difenderlo, per riempirsi le tasche ma anche l’ego di potere, visibilità, prestigio. I peggiori sono i politici perché per emergere promettono cose che non fanno e predicano valori in cui non credono o che comunque accantonano non appena impoltroniti. Non certo una peculiarità nostrana, la nostra disgrazia è che certi personaggi una volta arrivati in cima non si schiodano più. Politicanti che si identificano col bene del paese e una volta incoronati o fanno disastri oppure non cambiano nulla ma visto che non devono risponderne a nessuno, si riciclano all’infinito. In una democrazia sana, la bravura dei politici non si misura nella capacità di raccattar voti o di districarsi tra correnti, studi televisivi e cinguettii, la bravura di un politico si misura nei problemi che riesce a risolvere, in quanto e come migliora la vita concreta dei poveri cristi. Fatti, non propaganda. E se non lavorano bene, dovrebbero risponderne ancora più severamente visto il ruolo pubblico che detengono. Se in Italia siamo conciati così, è perché questo non avviene e la colpa è anche di molti che ancora s’illudono che votando tizio o sempronio cambi qualcosa. Almeno un tempo c’erano come scuse le opposte ideologie, oggi c’è pure l’aggravante del pensiero unico. Ma se siamo conciati così, la colpa è anche di tutti coloro che invece di rimboccarsi le maniche per cambiare il sistema cercano di cavalcarlo. L’Italia è un paese che premia il conformismo, con capi che si circondano di mediocri leccapiedi per stare a galla all’infinito e quando intravedono qualcuno di valore lo ignorano o addirittura lo combattono perché temono di perdere lo scettro. Un paese vecchio anche dentro perché i giovani non trovando spazio sono spesso costretti a scegliere tra piegarsi all’andazzo o andarsene. Un Italia anch’essa infettata dalla pandemia egoistica occidentale in cui le carriere infinite dei baroni sono uno dei tanti sintomi. Prima di tutto se stessi anche rispetto al bene della collettività. Ed è così che nonostante anni turbolenti in cui la società italiana ha cercato di reagire e liberarsi da un giogo che è prima di tutto culturale, siamo fermi al solito punto. Con nessuno che ne parla e tantomeno fa nulla. Coi poveri cristi costretti a scendere in piazza affinché qualche potente si occupi di loro e dei problemi reali. Con manager che se ne vanno tra le macerie, padroni che cadono dalle nubi ed operai che lottano per sopravvivere agli errori altrui come del resto tutti i poveri cristi ogni santo giorno. Con la Sicilia che rimane a secco e il nord che finisce sott’acqua dopo qualche ora di pioggia. Con nessuno che vota e segue più mentre politicanti mediocri passano da una poltrona dorata all’altra per decenni accompagnati dal controcanto giornalistico o presunto tale. Potenti che hanno perfino il privilegio di riciclarsi all’infinito tra le macerie. È questa la vera disgrazia italiana.