
(di Lucio Caracciolo – repubblica.it) – Il cambiamento climatico è tema troppo serio per lasciarlo ai climatologi. Eppure le accalorate dispute sul riscaldamento dell’atmosfera sono aperte e chiuse da chi si intesta il consenso climatologico con sentenza intesa cassazione: “Lo dice la scienza”. Alfa e omega del decreto: Gaia sta per morire soffocata dalle emissioni di gas serra, da quindi azzerare al più presto.
Su questa verità liofilizzata e diffusa via media si mobilitano da decenni accesi movimenti di massa incarnati fino a ieri dall’iconica Greta Thunberg, cui non solo media e leader politici ma persino studiosi autocertificati s’inchinavano, quasi oracolare Sibilla del clima: “Lo dice Greta”. Quest’anno però lei ha virato secca verso i “pro Pal”, più urgenti dell’ambiente. Segnale da prendere sul serio, stante l’indubbio fiuto dell’ex patrona del catastrofismo (anti)ecologico.
Qualcosa non funziona nell’abracadabra ultima chiamata per la Terra/salvezza via neutralità carbonica, codificato da 145 Paesi tra cui i 27 dell’Unione Europea e gli Stati Uniti nell’obiettivo net zero: niente emissioni nette entro il 2050 (la Cina si concede il 2060, l’India il 2070). Non pretendiamo qui di stabilire correttezza di diagnosi — dunque imminenza del giudizio universale — e relativa terapia decarbonizzante. Consideriamo le proposizioni entrambe vere.
Il problema è che la seconda non consegue dalla prima. Se stiamo tutti rischiando la vita questa cura anti-CO2 non ci salverà. Perché non funziona. Il presunto obbligo morale è non sequitur logico e fattuale. Alibi che ostacola l’impegno verso l’ecoadattamento come terapia parallela. Determinante. Dove la priorità è data non alle cause ma al contrasto degli effetti devastanti su ambiente e salute di temperature imbizzarrite. Scelta indotta dall’inefficacia dell’approccio corrente.

La battaglia per la decarbonizzazione è persa. Per vincerla occorrerebbero forse secoli. Non possiamo aspettare. Urge limitare le conseguenze della sconfitta. E sperare che nel frattempo non ci sorprenda l’autodistruzione dell’umanità. Esito oggi più probabile per via bellica — terza e ultima guerra mondiale alle porte? — che climatica.
Parlano i numeri. Nonché decrescere, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera aumenta costantemente: nel 2018-22 dello 0,8% annuo. Se assumessimo che ogni anno diminuisse dell’1% la neutralità carbonica verrebbe raggiunta nel 2160. L’obiettivo net zero 2050 sarebbe possibile solo riducendo le emissioni del 4,8% ogni anno.
Se hai un problema che non puoi o non vuoi risolvere affidalo all’Onu. La massima istanza cui gli Stati delegano la delibazione di una strategia per ridurre il global warming è la Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (Cop) promossa dalle Nazioni Unite, la cui ventinovesima edizione si è tenuta a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre.
Dagli animati lavori unanime è scaturita un’improbabile mancia ai Paesi più deboli, con arrivederci a Belém (Brasile) per la Cop 30 nel novembre 2025. Assemblee annuali che, indipendentemente dalla non riduzione del riscaldamento globale, riscaldano i nostri cuori. Di Cop in Cop avremo prova ontologica del persistere di vita umana sul pianeta. In formula: la Cop sei tu!

Perché l’obiettivo di limitare il riscaldamento climatico entro un massimo di 2 gradi rispetto “all’era preindustriale”, proclamato nel 2010 dalla “comunità internazionale”, pare fallito? La risposta è nelle virgolette: non esiste una “comunità internazionale” ma una varietà di soggetti nazionali, subnazionali o privati con le rispettive agende, frutto di culture, interessi e stili di vita diversi, spesso inconciliabili.
Quanto “all’era preindustriale”, complimenti a chi ha inventato un parametro tanto interpretabile. Almeno altrettanto mobile del tempo che autorità politiche e/o scientifiche ci assegnano per salvare il pianeta, per cui abbiamo sempre tot anni prima dell’apocalisse — dieci è il numero magico — sicché una volta prossimi alla scadenza il decennio viene automaticamente rinnovato con puntualità da decreto milleproroghe.
Questo significa rassegnarsi a cuocere come la rana nel pentolone d’acqua che a mano a mano si riscalda, prima gratificando poi bollendo l’ignaro anfibio? No. Proprio il contrario. Possiamo certamente ridurre le devastazioni ambientali indotte dall’eccessivo calore — heat, non warmth — di cui siamo corresponsabili. A patto di riportare la questione dai cieli dell’astrattezza alle terre di noi umani. Persone e collettività specifiche, non “globali”. Insofferenti delle predicazioni moralistiche quando in gioco è la vita.
L’etica pratica impone di combattere le guerre perse se l’alternativa è perire subito. Quantomeno rinviamo la fine del mondo al futuro più lontano possibile. Per tutto il resto c’è la fede nell’immortalità.