
(Raffaele Pengue) – Iniziata l’ora d’aria natalizia – con l’accensione dell’Albero di Natale davanti casa (comunale) – per il popolo guardiese, si torna alla realtà del potere dominante, della voce del padrone e dei percorsi prestabiliti. Quattro anni sono stati una gita fuori porta, una scampagnata con relativo pic nic al “salotto”; ma finita la gita, consumato lo spuntino, si torna all’ovile. La ricreazione è finita. “Vattenne! La comunità guardiese non ne può più!”: dice il padrone.
È stato bello avere l’impressione che quattro anni fa tutto sarebbe cambiato col voto, secondo quel che raccontavano i protagonisti dello show del cambiamento o secondo le aspettative diffuse dei guardiesi. Era bello figurarsi che tutto era nelle mani dei guardiesi e che tutto avrebbe assunto la forma indicata dalla libera volontà dei cittadini. Erano buoni gli stuzzichini, brindare con il Quid, illudersi che Guardia è come ci appare, come ci viene raccontata dai social, dagli assessori e dai consiglieri di maggioranza e dai loro spin doctor, frutto della volontà dei guardiesi e della loro, incrociate in un rapporto nuziale che si chiama patto elettorale. In realtà sappiamo come è andata, sappiamo ormai da decenni che in questo paese qualunque sia l’esito del voto, lo spazio assegnato ai cittadini e a chi ha ancora voglia di mettersi in gioco si restringe ogni giorno di più. La possibilità, poi, di influenzare i processi decisionali di veri e propri scappati di casa che (purtroppo) puntualmente ogni volta mandiamo sul Comune o di modificare gli assetti di potere, l’inespugnabile signorotto di campagna e la sua emanazione diffusa, e il suo studio di controllo, sorveglianza e consenso, è minima, se non trascurabile. A Guardia l’esito del voto fin dal giorno in cui viene registrato va a consegnarsi immancabilmente nelle sue mani dentro una geometria di potere, non revocabile. E da quell’impalcatura non si può sgarrare. Chi vince le elezioni va subito a costituirsi al suo studio che decide in ultima istanza e che è impermeabile al verdetto elettorale, anzi a volte riesce pure a determinarlo. E se non ci riesce prima, lo fa dopo, a urne chiuse.
La competizione elettorale di quattro anni fa ha messo in gioco solo lo spazio più piccolo benché più vistoso del vero potere di questo paese. Tutto a Guardia è sotto tutela, e ogni decisione è praticamente interdetta, almeno sulle questioni che si definiscono appunto “decisive”. Tutto è frutto di negoziazione e compromesso; ma i margini di manovra per chi amministra sono esigui, soprattutto se questi sono dei parvenu.
Allora cosa siamo andati a votare quattro anni fa, cosa abbiamo davvero deciso con la nostra scheda elettorale? Abbiamo votato per eleggere solo le bambole di legno più piccole della matrioska in bella vista nello studio del signorotto di campagna? Bambole con la faccia istituzionale che stanno dentro la bambola più grande? Più piccole, più vulnerabili dentro quella matrioska: credete davvero che chi gestisce alla luce del sole questo paese abbia grandi possibilità di manovra?
Parliamoci chiaro il potere a Guardia ha un interesse primario: che le urne non diano mai responsi netti, maggioranze schiaccianti, soprattutto se non sono omogenee alla matrioska in bella vista nello studio del signorotto di campagna. Se il verdetto invece è chiaro, nonostante la volontà della matrioska, allora parte il pressing, tramite ricatti, allarmi procurati e minacce – “Vattenne!” – che faranno rientrare le bambole più piccole nella famiglia della matrioska; saranno piegate e plagiate, se non è accaduto già prima. Poi con le prossime elezioni i nodi verranno al pettine, sono annunciati disastri e tregende, non si può più giocare con la politica in questo paese, è come scherzare col fuoco.