Leghisti contro tematiche di genere – Liberali all’angolo. La ministra risponde al Carroccio scatenato ed evoca possibili segnalazioni all’autorità giudiziaria Finiremo così per vietare anche “Lolita”?

(Di Tomaso Montanari – ilfattoquotidiano.it) – È raro (per fortuna) che i Provita si occupino di università, ma qualche giorno fa il loro sito ha pubblicato un entusiastico articolo intitolato: Il ministro Bernini [ovviamente al maschile anche se è una donna…] sui corsi Lgbt nelle Università: “Nessuno spazio per percorsi ideologici” . Cosa è successo? Nello scorso ottobre, il deputato leghista Rossano Sasso aveva scritto un tweet contro un corso tenuto all’Università di Sassari da uno studioso di tematiche di genere, Federico Zappino: “Quel corso va rimosso e che nessuno mi venga a ciarlare di libertà della ricerca. Qui per me si è davvero oltrepassato ogni limite, qui con soldi pubblici si fa espressamente e volutamente insegnamento di ideologia gender e teoria queer. Mi auguro che il Ministro @BerniniAM intervenga quanto prima e che tutti gli alleati di centrodestra seguano la Lega. Noi non molliamo di un centimetro”.
Il simpatico Torquemada leghista, ignaro che a ‘ciarlare’ di libertà della ricerca è la Costituzione della Repubblica, che un’‘ideologia gender’ non esiste e che il queer è una categoria culturale, è ora tornato alla carica, presentando una interrogazione parlamentare dello stesso tenore: ed è la risposta della ministra dell’Università ad essere esaltata dai Provita. Ma cosa ha detto Anna Maria Bernini? Da una parte ha correttamente ricordato che esiste un articolo 33 della Costituzione che garantisce libertà e autonomia alle università, dall’altra ha introdotto un pericolosissimo “tuttavia”: “Tuttavia la libertà di insegnamento deve essere bilanciata dalla protezione di altri valori ugualmente blindati dalla Costituzione, quali la tutela della dignità della persona, la tutela della salute intesa come tutela all’integrità psicofisica e all’equilibrato sviluppo psicofisico dei minori. … Detto questo, il Ministero dell’Università e della ricerca ha avviato le istruttorie del caso e sta monitorando insieme ai Rettori – si tratta di autonomia universitaria – le situazioni segnalate per valutare eventuali ulteriori interventi in proposito che il singolo ateneo vorrà porre in essere. È evidente che, qualora dall’istruttoria emergessero profili di reato, sarà nostro dovere interessare l’autorità giudiziaria”.
Ora, la Costituzione dice: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento”. Non bilancia questa libertà con alcunché: non ci sono ‘tuttavia’, almeno finché siamo in democrazia. Perché, come aveva detto il grande liberale Luigi Einaudi, “Lo stato stipendia i professori non perché gli siano fedeli politicamente, ma perché insegnino quella che essi, e soltanto essi, ritengono la verità. Mettere dei limiti alle verità che si possono insegnare è sopprimere la libertà della scienza … l’unica guarentigia del progresso scientifico sta nella assoluta libertà, anche nella libertà, nel campo del pensiero, della ribellione a tutti i principi universalmente accolti ed a tutte le istituzioni esistenti”. Nessuno, dunque, e men che meno il potere esecutivo, può aprire istruttorie per verificare se ciò che si dice in un’aula sia lecito, o meno. L’autorità giudiziaria non ha certo bisogno del governo per accertare se un docente commetta o meno un reato nell’esercizio delle sue funzioni: ma fatico a vedere la possibilità di processare un professore per le sue opinioni scientifiche espresse dalla cattedra, almeno in una democrazia. Nella sua interrogazione, il deputato leghista parlava di istigazione alla pedofilia: cosa mai avrebbe detto se fosse entrato in un corso di Letterature comparate in cui si discuteva Lolita di Nabokov? Siamo su un terribile piano inclinato: ricordiamo che, nel suo percorso di sottomissione e controllo dell’università che ha decretato la fine della libertà accademica in Ungheria (un percorso additato come esemplare dal vicepresidente eletto americano Vance), Viktor Orbán ha proibito per legge che negli atenei si parli di temi di genere.
Non è difficile vedere che anche in Italia stiamo muovendo in quella direzione. E la cosa più preoccupante è che Anna Maria Bernini non ha una matrice fascista, essendo invece di cultura liberale: mi è capitato di darle pubblicamente atto di aver finora difeso l’autonomia universitaria, anche in episodi in cui la sua maggioranza la esortava a calpestarla (per esempio contro di me: quando, da rettore, mi rifiutai di esporre il tricolore a lutto per la morte di Silvio Berlusconi). Non è un mistero che alcuni esponenti di Forza Italia sono sempre meno a loro agio di fronte al carattere profondamente illiberale dei loro colleghi di Fratelli d’Italia. Ma se ora anche la ministra dell’Università deve cedere al clima di caccia alle streghe, arrivando ad annunciare una istruttoria ministeriale su un libero corso di una libera università della Repubblica, significa che ci stiamo avvicinando ad un punto di non ritorno. “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”, diceva Piero Calamandrei: nell’università italiana l’aria inizia davvero a mancare.