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Il ragionier Frullini vero leader del Pd

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“Proseguire questa specie di ‘X-Factor’ sul leader del centro è operazione sbagliata” Michele Emiliano

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Tra i partiti del centrosinistra (o del fronte largo, o progressista, o come vi pare) il nocciolo del problema di un’eventuale futura alleanza non è tanto il cosa fare insieme (sui programmi alla fine ci si aggiusta sempre), bensì chi comanda. Poiché, a meno di imprevisti sconvolgimenti, le elezioni politiche non sono dietro l’angolo, Pd, 5 Stelle, Avs, Azione, Italia viva avrebbero, in teoria, tutto il tempo per trovare un accordo sul nome giusto per la guida della coalizione. Solo in teoria visto che alla prova dei fatti l’operazione sta già assumendo le modalità di un duello rusticano. Nel 2022, con il cinismo pragmatico della destra, Fdi, Forza Italia e Lega decisero che in caso di successo elettorale la premiership di governo sarebbe spettata al (alla) leader del partito più votato. Infatti, che a prevalere sugli altri due sarebbe stata Giorgia Meloni era piuttosto scontato cosicché anche il riottoso Salvini, alla fine dei giochi, dovette piegare la testa.

Lo stesso criterio non sembra a portata di mano tra le forze dell’attuale opposizione, visto e considerato che, impegnato com’è a sottolineare le differenze con il Pd, Giuseppe Conte avrebbe qualche difficoltà (eufemismo) a cedere il passo a Elly Schelin. Cioè, alla segretaria di un partito che, stando ai sondaggi oggi come oggi, conserva un cospicuo vantaggio sul M5S. Ed ecco che nelle fumisterie politologiche di un mondo complicato la soluzione del busillis viene trovata nella figura di un ipotetico federatore dell’ancora più ipotetico centro. Con un profilo talmente arzigogolato da sembrare frutto di un algido algoritmo. Tipo, per intenderci, quell’aggeggio a cui certe società di calcio affidano la scelta dell’allenatore, con risultati quasi sempre disastrosi. Nel caso in esame qualche cervellone dem deve avere inserito nel sistema le seguenti richieste: trova un bravo tecnico, persona perbene, cattolico, moderato, politicamente innocuo, ma soprattutto sconosciuto ai più per non dare ombra a nessuno. Poteva toccare, per dire, anche allo stimato ragionier Frullini, galantuomo, contribuente fedele e benvoluto dal parroco. Invece, per l’incarico di federare non si sa bene chi e cosa in un piccolo mondo rissoso (Carlo Calenda e Matteo Renzi sono infederabili perfino con se stessi) è uscito, oplà, il nome di Ernesto Maria Ruffini. Per i suoi trascorsi come direttore dell’agenzia delle Entrate sicuramente meno popolare del Frullini. Ovvio che da questo momento fioccano le candidature con relativi sponsor.

Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo è convinto, beato lui, che con il collega milanese Giuseppe Sala “si vince”. Infatti, nella migliore tradizione della sinistra solidale, subito si preoccupa di segare le gambe a Ruffini: “Più che un partito dei soli cattolici serve un soggetto liberaldemocratico e riformista”. Il ragionier Frullini non dispera.


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