L’ex first lady siriana, moglie del dittatore è stata ritratta col volto angelico dai media come a stemperare decenni di atrocità. Le voci del divorzio e di una nuova malattia mettono fine all’ex propaganda del regime

(di Domenico Quirico – lastampa.it) – Duemilaundici, che anno! Febbraio, sui regimi arabi rosseggiava il malinconico occaso della pensione e di primavere fatali, agli eternismi si stavano per sostituire le ore frementi dei delitti, dei fattacci, delle prove finalmente schiaccianti, delle esemplari condanne, degli esili o peggio. Al Nyt stavano con il fiato sospeso prevedendo burrasche. Ma nella redazione di Vogue avevano capito già tutto del nuovo mondo in arrivo in quelle arroventate latitudini, per nulla distratti dal fenomenale ritorno del reggicalze e dalle novità alle polpose sfilate di Kuala Lumpur. Garantito: il mondo arabo stava cambiando al femminile, finita l’era delle ingombranti vestali che palpitavano domesticamente sulla sorte dei potenti congiunti, donne che preparavano l’humus per i ragazzacci che andavano a purgare chi credeva un po’ troppo alle elezioni. Era l’avvento, vivaddio, di first lady moderne. Il “lato debole”, le complicazioni passionali dei tipacci che da decenni tenevano in riga milioni di uomini erano ormai all’insegna del glamour, dell’ultima moda, dell’alfabeto mondano.
In effetti… Mettiamole in fila le altre metà del cielo di quelle dittature: la pettinatrice di Tunisi, la dottora di Tripoli, Suzy la raissa del Cairo.
A Vogue avevano bisogno di un volto, un mito che tutte le riassumesse quelle pioniere che scavavano solchi profondi stile Dior nello spettacolo quotidiano di corruzione e sharie da brividi. Insomma, una Elena in competizione con quella che splende nell’Iliade Trovata! Nome: Asma. Cognome: Assad. Sede e regno: Siria, Damasco.
Volto angelico, “silohuette” da indossatrice, metraggio di tessuto elegante che sfidava lugubri tuniche, palandrane oscurantiste, chador senza firma di prestigiosa “Maison”. Bene benissimo: la moglie dell’oftalmico londinese diventato per caso dittatore era perfetta per raccontare la soap opera di regimi che annunciavano di stemperare truci decenni di sangue in modernismi da Grand Hotel. Insomma, dal reazionario puro a quello trattabile, una passione occidentale.
Così è sbocciato, mentre a Hama e Homs i bravacci del simpatico marito sparavano sulle folle che invocavano dignità e nelle catacombe dei servizi di sicurezza si lavorava alla faticosa routine di bastonate e scosse elettriche, il personaggio della “Rosa del deserto”, anzi della “lady D” d’Oriente. Bel lavoro ragazzi! Per i mea culpa redazionali hanno atteso nove anni…
A palazzo a Damasco, emersi dalle polverose cripte di una comunicazione sovietica, i faccendieri avevano già da tempo aggiornato il profilo Facebook della rosa del deserto: trionfava bionda e sorridente, capelli corti e sbarazzini, vestiti a fiori che facevano pendant su sfondi di roseti dannunziani e verzure squillanti.
Una campagna pubblicitaria e basta? Niente affatto. Il vecchio Afez Assad l’aveva scelta apposta per quel figliolo un po’ borghesuccio e appassito. Forse nemmeno lui aveva colto in Bashar le grandi, riposte possibilità assassine. Sotto l’unguento dei sentimenti era stata scelta per un matrimonio dinastico come un tempo gli zar andavano in trasferta in Germania per scegliere zarine robuste che assicurassero la continuazione della dinastia. Anzi. Asma aveva passato l’esame della suocera, la sospettosa Anissa (ecco un altra figurina per le dame in nero): famiglia sunnita, origine alto-borghese, investimento produttivo per il regime. Insomma: più che Cupido un incontro al vertice patrocinato, infatti, dal capo dei Servizi segreti.
Laurea al Hing’s college e allevata alla JP Morgan: quindi una seminarista del profitto, di casa nella Famiglia che dirige il mondo, perfetta per pianificare il passaggio dal dirigismo brezneviano del regime di papà al capitalismo mafioso e parassita dell’erede. Voluttà e buoni affari, sensualità visiva e sacerdozio affaristico ma con iniziazioni e riti implacabili come le maniere dei mukhabarat.
A Damasco da mezzo secolo si sapeva che la repressione superava le più macabre immaginazioni di Eugenue Sue e noi, in Occidente, a svagarci con le meraviglie di Lady D due e le sue sagaci malizie. Al Grand Palais, officiante quella volpe di Sarkozy, la accolsero a bocca aperta come se fosse tornata la Belle Epoque. E quelli di Paris Match che facevano le classifiche: chi è più chic nel reame tra Asmà, Carlà e Michelle Obama ? Saranno rimasti incantati nel 2012 mentre i siriani affondavano nel fraterno massacro e lei ordinava su internet scarpe Luobutin. Quando si dice lo stile!
Sapete, non è facile essere la first lady mentre il marito, nonostante il ghigno un po’ grullo, in dieci anni elimina dal genere umano mezzo milione di sudditi. Eppure… guardatela! Piccola fresca fragile intatta, si vede che ha colto appieno il fiato di una epoca. Prove snervanti, contratti assassini, rivalità feroci, malignità claniche, facchinaggi tribali: lei lo sbuccia il vecchio, stantìo monopolio della corruzione e ne fa un business privato, di famiglia. Ben nascosta dietro una Ong, di cui devono servirsi l’Onu e la Unione europea per salvare i siriani dalla carestia, l’allieva modello della City spazza via le attempate camarille dei barattieri di Stato fermi a esazioni primitive, annichilisce il clan criminale dei cugini, i Makhulf, grandi elemosinieri della repressione. Al suo confronto i loro traffici sembrano umile avidità canina. Coagula tutto ciò che rende, dal contrabbando del petrolio a Syriatel, inventa la tessera annonaria elettronica senza cui non si ha accesso al carburante e ai prodotti alimentari razionati, implacabile strumento di controllo. E poi la droga. I Maklhuf, braccati da debiti e accuse, fuggono a Mosca. Ora si ritroveranno per rimpatriate di famiglia non certo pacifiche. Si perde tempo a cercare ciò che ha causato il tracollo in tre giorni del regime che nessuno ha più difeso… Ecco qua: non era rimasto più nulla da rubare per gli altri, persino i disonesti erano afflitti.
Nel 2018 la propaganda del regime annunciò con grande rilievo che stava lottando con il cancro: da Lady D a nuova Evita che nonostante la chemioterapia e le sofferenze continuava a occuparsi di orfani e vedove e a distribuire aiuti umanitari tra le rovine…Ora che tutto è crollato tornano le voci della malattia e che intenda divorziare dal marito, finale che a Vogue apprezzerebbero. Forse, poiché restano solo i delitti e le rovine ed è schiacciata, come schiacciano due battenti, tra il silenzio del palcoscenico della sconfitta e le quinte dipinte con i suoi fantasmi, vorrebbe ancora recitare il suo inutile assolo da primadonna.