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I motivi per cui Alemanno è finito in carcere a Rebibbia

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L’arresto di Gianni Alemanno: incontri «vietati» e infrazioni. Così l’ex sindaco di Roma è finito in carcere. Era affidato ai servizi sociali dopo una condanna a 22 mesi. Ma per il tribunale ha frequentato il pregiudicato Paolo Colosimo

Alemanno a Brescia a caccia dei delusi dal governo Meloni: «Troppi condizionamenti atlantici»

(di Ilaria Sacchettoni – corriere.it) – Ex ministro dell’Agricoltura durante uno dei governi Berlusconi, ex sindaco di Roma, ma in primo luogo militante della destra sociale estrema — ora anche con il movimento Indipendenza da lui stesso definito «pacifista» — Gianni Alemanno, 66 anni, torna in carcere per volontà del Tribunale di Sorveglianza che ritiene il suo percorso presso i servizi sociali (la comunità di accoglienza So.Spe di Suor Paola) viziato da comportamenti dubbi e illeciti inequivocabili. Lacunosa la sua osservanza alle prescrizioni che includeva obblighi di orari (divieto di uscire prima delle sette e oltre le 21). Ma soprattutto contraria alle regole la frequentazione con Paolo Colosimo, avvocato condannato per il processo Fastweb e dunque pregiudicato. Incastrato da una serie di intercettazioni — è appena finito in una nuova inchiesta per riciclaggio — che lo mettono in relazione con alcuni condannati, Alemanno ha trascorso il veglione nel carcere di Rebibbia dove, per un soffio, non era finito all’epoca della grande retata per l’inchiesta «Mondo di mezzo», quando, accusato di finanziamento illecito, scampò le misure cautelari, affrontando il processo da uomo libero.

L’ultimo messaggino è stato, appunto, per suor Paola alla quale alle 17 circa del 31 dicembre ha fatto sapere: «Non potrò partecipare alla festa di fine anno perché i giudici mi hanno negato l’autorizzazione»: notizia accolta con rammarico perché, assicura la religiosa, «Alemanno aveva trovato tra le ospiti ucraine della comunità, sostegno e perfino simpatia»: lui insegnava loro l’italiano, loro, le religiose, relazionavano positivamente per il Tribunale. Scontava ventidue mesi per la più mite accusa di «traffico di influenze illecite» subentrata, in un secondo momento, alla contestazione di corruzione. Inizialmente accusato — secondo lo schema investigativo formulato dai pm dell’epoca Cascini, Ielo, Tescaroli — di associazione mafiosa, si era poi salvato dalla contestazione più grave per decisione della stessa Procura che però non aveva mai accantonato la convinzione che Alemanno fosse parte di quel «capitale istituzionale» espresso dal duo Salvatore Buzzi e Massimo Carminati impegnato a ottenere appalti in cambio di mazzette. 

L’accusa di aver trafficato con l’imprenditore delle coop, che aveva infiltrato l’amministrazione capitolina, gli era rimasta cucita addosso, a dispetto della più lieve condanna in Cassazione.
Il militante dell’estrema destra prestato alle istituzioni, non aveva mai reciso del tutto i legami con il suo passato, come già la sua consiliatura in qualità di sindaco della Capitale, aveva inequivocabilmente dimostrato. Uomini della destra sociale, spesso con condanne nel proprio curriculum, erano stati da Alemanno impiegati, per fare solo un esempio, nei corridoi delle municipalizzate dimostrando di non aver intenzione di ostracizzare quei vecchi compagni di militanza dai ranghi istituzionali.

L’ultima scommessa riguardava il movimento Indipendenza che radunando no vax e l’ala cattolica estrema si proponeva di battersi «per la pace». Quello, le ospitate televisive, le riunioni, gli avevano conferito una nuova spinta e nuove motivazioni. La sua priorità avrebbe dovuto essere l’osservanza delle regole prescritte dai giudici del tribunale di sorveglianza ma così non era, tanto che i pm della Procura di Roma avevano avviato una nuova inchiesta su di lui.
Ora, al principio di un nuovo complicato anno, resta sulla bacheca di Facebook il commento che il suo ex sodale Salvatore Buzzi ha voluto dedicargli: «Dispiace sapere che Gianni Alemanno è detenuto a Rebibbia». Mentre l’ultimo dispiacere, in coda agli altri, è la condanna al risarcimento di 87mila euro per la metro C arrivata dalla Corte dei Conti.


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