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Musk ed Elkann: il potere mediatico fa gola a tutti

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“Una donna fantastica, ha davvero preso d’assalto l’Europa”. Donald Trump sabato notte ha scelto bene le parole con cui accogliere Giorgia Meloni nella sua residenza di Mar-a-Lago: un complimento […]

(Di Gad Lerner – ilfattoquotidiano.it) – “Una donna fantastica, ha davvero preso d’assalto l’Europa”. Donald Trump sabato notte ha scelto bene le parole con cui accogliere Giorgia Meloni nella sua residenza di Mar-a-Lago: un complimento che preannuncia un incarico, una missione comune. Prendere d’assalto l’Europa. Trump agisce d’intesa con Elon Musk, l’amicone della premier italiana, che dopo aver acquistato Twitter lo ha ribattezzato X e ha iniziato a usarlo come un randello. Solo negli ultimi giorni ha dato dell’idiota e dello stupratore ai leader britannico e tedesco; domani sempre su X ufficializzerà il suo endorsement in favore di Alternative für Deutschland. Spallate, una dopo l’altra, per accelerare il riallineamento delle classi dirigenti intorno a plutocrati come lui, monopolista delle telecomunicazioni, circonfuso di un’aura di genialità e per giunta uomo più ricco del mondo.

Non so quanto reggerà la partnership fra Trump e Musk, ma di certo oggi li riunisce l’intenzione di sfasciare l’Ue o quantomeno sottometterne a uno a uno i Paesi membri. È la strategia di cui Meloni viene chiamata a diventare una pedina. I nuovi potentati della “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” (definizione di Alessandro Aresu) sovrastano di gran lunga l’angusta dimensione delle singole destre nazionaliste. Basterebbe lo spettacolo imbarazzante di Salvini in gara con la premier a chi sviolina di più Musk, stendendo tappeti nei comparti della nostra sicurezza alla sua SpaceX, per constatare quanto sia meramente decorativo il nazionalismo acchiappavoti. Nel XXI secolo tale è l’interdipendenza dei sistemi di difesa e di comunicazione da rendere obsoleta, inautentica la retorica patriottica degli isolazionisti. Vale per le grandi potenze, figuriamoci per noi. Quelli che furono capipopolo indiscussi delle destre novecentesche nel mondo contemporaneo possono aspirare tuttalpiù al ruolo di prestanome. Elon Musk usa cambiare referenti politici come fossero i suoi calzini. Basta vedere la disinvoltura con cui ha scaricato il suo protetto inglese Nigel Farage, colpevole di aver preso le distanze da Tommy Robinson, suprematista esagitato (oggi in carcere) fomentatore l’estate scorsa di disordini anti-immigrati. In Germania è evidente a cosa punta Musk: dare una spinta tale all’estrema destra da costringere i Popolari a imbarcarla nel futuro governo. Proprio come succede in Austria a parti invertite.

Finché la propaganda cattivista era appannaggio di politici e giornalisti senza scrupoli era possibile (sbagliando) minimizzarla a fenomeno folkloristico. Ma ora che l’incitamento, testuale, alla “guerra civile” viene lanciato direttamente dall’élite tecnologica, un nuovo potere che neanche ha più bisogno di mascherarsi da anti-élite, bisogna prendere atto della novità. Le parti si sono invertite: oggigiorno sarà pure diventato politicamente scorretto osare riferimenti al fascismo d’antan, ma sta dispiegandosi un autoritarismo contemporaneo bellicoso non solo a parole. Fondato sul potere del denaro, delle armi, del dominio dello spazio, della manipolazione della realtà. Non è soltanto una fortuita coincidenza se – mentre la politica balbetta sulla “vantaggiosissima” profferta di SpaceX al governo italiano, condita da Musk con minacce ai giudici colpevoli di ostacolarne l’azione – giunge una notizia minore ma significativa: la cooptazione di John Elkann nel consiglio di amministrazione di Meta, la multinazionale di Mark Zuckerberg. Da notare subito che anche il creatore di Facebook, dopo essersi recato a Mar-a-Lago a baciare la pantofola di Trump, si è affrettato ad adeguarsi. Insieme a Elkann fa ingresso nel Cda di Meta un imprenditore delle arti marziali, Dana White, da 25 anni tra i più intimi sostenitori del nuovo presidente Usa. Una figura “di garanzia”, diciamo così, sulla comunicazione futura dei social un tempo avversi. Che subito provvedono a rimuovere il fact-checking inviso a Trump.

Il potere mediatico di Elkann non è certo paragonabile a quello di Musk; né basterebbe ad accomunarli l’origine automobilistica dei loro patrimoni. Fra Tesla e Stellantis oggi c’è un baratro, ne sanno qualcosa i lavoratori italiani che assistono al riposizionamento internazionale dell’ultimo degli Agnelli. Fosse anche solo simbolico, però, l’ingresso di Elkann nel gotha del potere mediatico planetario segnala un’ambizione, se non una strategia, che va ben oltre gli investimenti editoriali nella provincia italiana. Musk fa proseliti, indica la via, suscita emulazione. Quando spese 44 miliardi per comprare Twitter sembrò una follia. Nessuno poteva immaginare la spregiudicatezza con cui lo avrebbe impiegato. Il potere del nuovo capitalismo passa anche dalla manipolazione dei nostri cervelli, oltre che dalla sottomissione della politica. Teniamoci stretto e caro questo nostro giornalismo artigianale indipendente.


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