Atlantisti ed europeisti – La sconfitta subita o ormai prossima accomuna gran parte dei “campioni” dem e socialdemocratici dell’Occidente e dell’Est

(Di Salvatore Cannavò – ilfattoquotidiano.it) – Con le dimissioni di Justin Trudeau un altro esponente della sinistra liberale, quella moderata e centrista che rappresenta un faro per i “riformisti” italiani, se ne va. E se ne va in malo modo, con una distanza di 20 punti circa dai conservatori che probabilmente prenderanno il potere, con una serie di scontri interni e litigi in vista della sostituzione dello stesso Trudeau.
La sinistra mondiale che si è cullata nell’illusione del centro moderato ora si risveglia in preda agli incubi: prima di Trudeau è toccato a Emmanuel Macron fare i conti con il proprio fallimento e il tedesco Olaf Scholz si avvia allo stesso destino alle elezioni politiche di febbraio. E, curiosamente, dopo una vittoria schiacciante in Gran Bretagna anche il laburista Keir Starmer è già in affanno. Il quadro per la sinistra liberale si fa tetro e nella “rossa” Spagna sembra resistere sempre più isolato il socialista Pedro Sánchez che però deve fare i conti con sondaggi non favorevoli. Fenomeno che, a giudicare dai sondaggi rumeni, riguarda anche l’Est europeo, sempre più sconvolto dagli effetti di lungo periodo della guerra ucraina dove l’unico segnale di controtendenza è stato dato dalle recenti Presidenziali croate in cui il presidente socialista uscente Zoran Milanovic ha vinto al primo turno e si aspetta la vittoria al ballottaggio del 12 gennaio.
Il liberale stanco e il litigioso Canada
Le avvisaglie per Trudeau si erano avute quando i liberali, tra la primavera e l’estate del 2024, hanno perso molte delle loro roccaforti nelle elezioni suppletive. A queste è seguita la decisione del principale partner, il Nuovo partito democratico (Ndp), di rompere la coalizione di governo pur votando contro tre mozioni di sfiducia tra settembre e dicembre. Trudeau vanta all’attivo alcuni programmi sociali, una politica favorevole ai diritti civili, l’affermazione dei diritti dei popoli indigeni. Ma alla fine anche lui, come i Democratici Usa, paga l’alta inflazione canadese a cui non ha saputo reagire con misure drastiche e verrà comunque ricordato per alcuni incidenti di percorso come lo scandalo “blackface”, il volto truccato di nero che si è ritorto contro a un paladino del politically correct. Ai canadesi potrebbe andare anche peggio se fosse fondata l’ipotesi che a sostituire Trudeau sarà l’ex banchiere centrale inglese Mark Carney, 13 anni in Goldman Sachs e noto come il “banchiere rockstar”: una buona variante per la sinistra liberale.
Cacciate Macron, agevolatore delle destre
Il campione della sinistra liberale europea, ormai stabilmente passato alla destra – com’era prevedibile – è odiato da 6 francesi su 10. Secondo un sondaggio Odoxa-Backbone Consulting per il giornale Le Figaro, infatti, le dimissioni del presidente vengono auspicate dal 61% dei francesi, due punti in più rispetto a dicembre e sette punti in più rispetto a settembre. Nel dettaglio, l’85% dei simpatizzanti del Rassemblement National di Marine Le Pen e il 92% dei simpatizzanti della France Insoumise invocano le dimissioni presidenziali. Solo i simpatizzanti del partito macroniano risultano fortemente contrari a questa ipotesi (90%). La zampata centrista dell’enfant prodige francese non ha dato nessuno dei frutti sperati dai suoi sperticati sostenitori e la polarizzazione tra la destra estrema di Le Pen e la sinistra più o meno unita da Jean-Luc Mélenchon lo dimostra. Non a caso i socialisti francesi, morti dopo il fallimento della presidenza di François Hollande, si sono ripresi proprio grazie all’alleanza con l’odiata France Insumis da cui ora vorrebbero staccarsi di nuovo. Le pulsioni suicide sono sempre in agguato quando si parla di socialdemocrazia europea.
Il cancelliere pallido e l’eredità in frantumi
Alla propria sconfitta sembra abbia lavorato alacremente il cancelliere tedesco Scholz che si avvia alle elezioni politiche del 23 febbraio con il compito, quasi impossibile, di ribaltare sondaggi che lo danno ormai stabilmente la terza forza del paese. L’ultimo, di ieri, è a cura di Forsa e vede la Cdu di Friedrich Merz stabilmente al primo posto con il 32% seguita dall’estrema destra dell’Afd con il 19%. La Spd al terzo posto con il 17%, i Verdi al quarto con il 12 mentre in questa rilevazione non brilla la lista di Sahra Wagenknecht, data al 4%, mentre altri istituti la quotano al 7%. La crisi industriale, quella energetica e la messa in discussione del “modello tedesco” ha prodotto anche in Germania una polarizzazione come dimostrano gli andamenti, diversi ma speculari di Adf e Bsw. All’estrema destra intanto arriva il soccorso mediatico di Elon Musk che ha deciso di sponsorizzare l’Afd con un’intervista diretta alla sua portavoce, Alice Weidel, come già fece prima delle Presidenziali Usa con Donald Trump.
Starmer traballa e i Tories risorgono
Musk si è già ingerito pesantemente nella politica interna di un paese chiave per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna di Keir Starmer, il primo ministro laburista accusato dal magnate di X di aver avallato stupri di massa per via della sua decisione di non riaprire un caso di cui si era occupato da procuratore (Musk ha poi anche preso le distanze dal brexiter Nigel Farage difendendo, a differenza di questi, l’estremista di destra Tommy Robinson).
Secondo un sondaggio di Stoneheaven, diffuso il 5 gennaio, il Labour perderebbe, se si votasse oggi, ben 133 seggi, i Tories ne conquisterebbero 36, salendo a 157 mentre Reform di Farage passerebbe dagli attuali cinque a 120. Una disfatta.
Consapevole del problema, Starmer sta convocando i suoi ministri per incontri individuali da 90 minuti per verificare il loro lavoro, dipartimento per dipartimento. L’idea di fondo è fare più in fretta sulla riforma del Servizio sanitario, il mitico Nhs, per dare segnali diretti a un elettorato che ha votato laburista aspettandosi però di avere risposte immediate su urgenze quali il caro-vita o il prezzo dell’energia, e quindi dei riscaldamenti. Nonostante sia un fatto locale, poi, occorre capire se scissioni come quella avvenuta al Consiglio del Broxtowe Borough nel Nottinghamshire, dove 20 consiglieri hanno lasciato il Labour, accusandolo di aver abbandonato “i tradizionali valori” progressisti, siano solo un episodio locale o qualcosa di più significativo.
La campana di Pedro, l’ultimo baluardo
In questo contesto, la campana suona minacciosa per Pedro Sánchez, uno dei pochi governi di sinistra che sembra ancora reggere in un’Europa dominata dall’avanzata della destra più estrema. Ma per quanto ancora? Il sondaggio pubblicato ieri da El País è eloquente. I Popolari, con il 33%, sono sempre il primo partito, anche se in flessione rispetto al 35% di novembre, ma i loro voti sono passati alla destra di Vox che sale dall’11 al 13,8%. Il Psoe di Sánchez resta stabile al 29,7% mentre alla sua sinistra continua la caduta libera di Sumar, ormai non più coordinata da Yolanda Diaz, e che vede l’altra formazione di sinistra, la storica Podemos, al 4%. La situazione di tensione interna al governo è certificata dal rapporto conflittuale di Diaz con il ministro dell’Economia Carlos Body sul tema della riduzione dell’orario di lavoro. E ancora una volta si tratta di scegliere la strada che si intende imboccare.
Vento dell’Est: in Romania vince l’outsider
La situazione per la sinistra è complicata anche nell’Est europeo dove, in Romania, un sondaggio diffuso da Politico.eu e commissionato dal sindaco di Bucarest, Nicusor Dan, mostra un 40 per cento a favore del tanto contestato Calin Georgescu la cui vittoria al primo turno elettorale di dicembre ha indotto la Corte federale romena ad annullare le elezioni che si terranno di nuovo nel mese di marzo.