La premier ha difeso Elon Musk dicendo che non rappresenta nessun pericolo

(di Francesco Bei – repubblica.it) – Da ieri è ufficiale. Elon Musk, il miliardario sudafricano diventato lo sponsor globale dell’estremismo di destra, ha in Italia un nuovo autorevole portavoce: Giorgia Meloni. Un ruolo che la premier svolge con piacere gratis, quindi non le si potrà nemmeno applicare la norma che Fratelli d’Italia ha escogitato per colpire Renzi. È questo il dato più clamoroso che emerge dalla maratona stampa (oltre due ore e mezza, solo Putin riesce a batterla) del capo del governo. Unica leader europea, se si eccettua Orbán, a schierarsi dalla parte di Musk nella sfida mortale che il padrone di X ha lanciato alle forze democratiche del continente europeo. Una minaccia concreta, che si alimenta di attacchi quotidiani e che solo una visione faziosa non riesce a catalogare come “ingerenze”.
L’allarme, del resto, è suonato in tutti i paesi e su tutti i media, anche quelli più vicini al mondo conservatore. Come ad esempio il Times britannico, dal quale ieri è arrivata una delle domande senza sconti sul caso Musk. L’imprenditore alla ketamina — è stato lui stesso a rivendicarne l’uso per migliorare le sue prestazioni — ha infatti scatenato un’offensiva senza precedenti nella storia politica delle relazioni tra Usa e Europa. E ha preso di mira tutti i leader al governo dei paesi partner dell’Italia, dalla Germania alla Francia, dalla Spagna alla Gran Bretagna. Incurante di tutto questo, Meloni ha preso le parti di Musk, ritirando fuori tutta la trita retorica sovranista sul vecchio George Soros, lo “speculatore ebreo”, il nemico della razza bianca che l’estrema destra mondiale ha sempre dipinto come il grande vecchio della sostituzione etnica. Un signore, certamente miliardario come Musk, ma che non possiede uno dei social media più grandi del pianeta, che non ha mai insultato nessuno, che non ha mai fatto parte dell’amministrazione della prima potenza mondiale. In Italia ha finanziato qualcuno, come dice Meloni? Sì, ha dato dei soldi (dichiarati) ai radicali di +Europa, che notoriamente hanno un grande potere di influenzare le decisioni dei governi e dei parlamenti.
È così, in questa improvvisa torsione sovranista, che si inaugura il 2025 della premier, che aveva manifestato le prime avvisaglie del cambiamento da moderata- simil-draghiana a leader di destra-destra nel comizio urlato di Atreju. Annusata l’aria che arriva dall’altra parte dell’Oceano, è la prima a mettere la sua vela al vento, sperando di essere considerata davvero la portavoce di Trump in Europa. In un rapporto che è già “molto solido” e che lei spera possa anche diventare “privilegiato” con l’inquilino della Casa Bianca. Meloni si offre a Trump e Musk come interlocutrice di prima classe in un’Europa per lo più ostile al movimento Maga, ma non considera che la sua sarebbe un’investitura “octroyée”, concessa da un capo politico che agisce come il sovrano di una monarchia assoluta, che a suo capriccio potrebbe un domani anche ritirarla. Lo si è visto del resto con il povero Nigel Farage, leader della Brexit e di altre sciocchezze, prima ricevuto a Mar-a-Lago e poi brutalmente scaricato da Musk per un altro figuro, attualmente in carcere, ancora più estremista di lui. L’Europa inizia tuttavia a reagire a questa escalation di provocazioni, è di ieri la notizia che anche il partito popolare europeo ha acconsentito a un dibattito a Bruxelles sulla minaccia di Musk, accodandosi a socialisti e liberali. E, dopo aver constatato che la strategia dello struzzo non era servita a nulla, anche i vertici massimi dell’Unione — la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa — hanno finalmente rotto il silenzio con due post identici nel contenuto: “L’Ue proteggerà sempre l’integrità delle nostre democrazie e libertà”. Una risposta clamorosa, questa dell’Ue, che stride ancora di più con le parole di Meloni.
Di fronte al calore di questo scontro impallidiscono gli altri contenuti della conferenza stampa. Ma ci sono da notare almeno altri due fatti. Il primo è che la premier sembra meno affezionata di prima a quella che era stata ribattezzata la “madre di tutte le riforme”, ovvero il premierato, approvato in prima lettura e ora fermo alla Camera. Ragionando sulle riforme, Meloni ha ammesso per la prima volta che le cose potrebbero non andare come previsto: “Se il premierato non dovesse arrivare, ci si interrogherà sull’attuale legge elettorale, se è la migliore oppure no”. Ecco, è la prima volta che la madre di tutte le riforme diventa una subordinata. E non è poco.
L’altro fatto è la scarsa considerazione di Salvini e della Lega, a cui Meloni ieri ha assestato tre colpi: ha chiuso definitivamente la porta del Viminale, ha detto no al terzo mandato (prenotando per FdI il Veneto) e ha lasciato intendere che non difenderà a morte l’autonomia differenziata nell’eventuale referendum. La domanda ora è: Salvini è ancora in grado di rispondere allo schiaffo?