La politica italiana: avulsa dalla legge.

(Stefano Rossi) – Il limite è previsto dalla legge nazionale n. 165 del 2004 (T.U. Enti Locali), art. 2, comma I, lett. f: “previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia”.
Si tratta di una legge c.d. cornice, cioè, di una legge nazionale che detta questioni di massima lasciando, poi, alle singole regioni, la libertà di legiferare nel dettaglio.
La legge n. 165 del 2004, recepiva il dettato costituzionale, di cui all’art. 122, che disciplina i rapporti tra Stato e regioni, nella sua originaria disposizione (prima della riforma avvenuta con la legge cost. 1/1999), che prevedeva, in modo chiaro e deciso, in questo modo: “Il sistema d’elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali sono stabiliti con legge della Repubblica”.
Ma proprio negli anni a cavallo, tra il XX e il XXI secolo, la sinistra stava scrivendo una delle pagine peggiori della sua storia e del diritto Pubblico italiano: la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione con le leggi costituzionali n. 1 del 1999 e, la oramai famosa, n. 3 del 2001 che ha introdotto l’Autonomia differenziata.
Da notare come, il chiaro inciso, di cui all’art. 122, ante riforma (il limite è stabilito con legge dello Stato), veniva poi ambiguamente ripreso, nel 2004, con la legge 165 (il limite, questa volta, viene subordinato “sulla base della normativa regionale”).
E, nel 2004, al governo c’era il centrodestra con la Lega che si chiamava Lega Nord – Lega Lombarda, che ambiva alla scissione del Nord dal resto dell’Italia.
La troppa chiarezza, evidentemente non piaceva a nessuna compagine politica, pertanto, con la legge cost. 1/1999, il governo D’Alema-Mattarella, andava a modificare il I comma del citato art. 122 in questo modo: “Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.
E, nelle varie fasi di riforma, ora, la legge della Repubblica, che recepisce il nuovo art. 122 Costituzione, dispone che sia la legge regionale a stabilire il limite ai mandati del presidente della regione.
Le riforme dovrebbero chiarire o migliorare, qui, invece, appare il contrario. Sembra intravedere un arzigogolo, un arabesco inutile e fuorviante (“In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco” E. Flaiano).
Alcune regioni hanno recepito questo limite con propria legge regionale. Altre no.
Passati gli anni, le regioni che non hanno recepito il limite, si sono chieste se è giusto che lo Stato possa limitare il mandato del suo presidente sul presupposto che, è la Costituzione, al suo art. 122, a prevedere che il limite ai mandati del suo presidente siano stabiliti con legge regionale e non più dello Stato.
E, difatti, proprio una legge della Repubblica, conferma che la materia sulla ineleggibilità del presidente della regione sia disciplinata con legge della regione.
Poiché alcune regioni non hanno legiferato sul punto, ci si chiede se sia giusto limitare il loro mandato a due consiliature.
Ora, io come tanti di buon senso, sono d’accordo nel limitare il mandato a due consiliature perché, negli anni, i presidenti di regioni hanno accorpato poteri e funzioni che non hanno eguali nella pubblica amministrazione.
Sarebbe opportuno che avvenga un avvicendamento; non dimentichiamo gli scandali di alcuni di essi, come Formigoni, Toti, Marini.
Ma sarebbe altrettanto opportuno che i nostri rappresentati in Parlamento imparino a scrivere le leggi con il cervello e non con altre parti del corpo.