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L’insensata euforia dei Maga d’Italia

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La premier, dopo gli sforzi per allontanare le nostalgie autoritarie, sceglie l’equilibrio, mentre il leghista Borghi chiede già di uscire dall’Oms e Orban invita a occupare l’Ue

L’insensata euforia dei Maga d’Italia

(Flavia Perina – lastampa.it) – È lo spirito americano che si rinnova. Il ritorno della Fortezza Americana con maiuscola. Il Titano dell’innovazione. La riscossa del “noi” sul nichilismo. Un nuovo Kennedy che metterà la bandiera americana su Marte. È l’uomo che libererà l’Occidente dalla tirannia del canone woke, green, arcobaleno, femminista e transfemminista, e pure dai vaccini, dalle pretese di una difesa sanitaria globale, e in prospettiva da tutto il resto: il vocabolario della cautela politically correct, lo stupidario dei Fridays for Future, i sensi di colpa per le foreste spianate, le montagne traforate, l’aria irrespirabile delle grandi metropoli, le quote crescenti di povertà assoluta. L’esaltazione di un’ampia parte della destra italiana e del suo opinionismo per l’inizio della Golden Age trumpiana è un dato alquanto inedito. Persino il più celebrato e amato tra i presidenti Usa, Ronald Reagan, non meritò tanto fervore, anzi: all’epoca, inizio anni ’80, il libro di riferimento della giovane destra risultava Il Male Americano, di Giorgio Locchi e Alain De Benoist, titolo che dice tutto. Dall’introduzione: «Sin dalla sua origine l’America nasce da un rifiuto dell’Europa, anzi da un odio per l’Europa, da un desiderio di vendetta e di rivincita dell’Europa».

Capo degli attuali esaltati: senz’altro Matteo Salvini. Da mesi cerca di qualificarsi come supporter-in chief del trumpismo e sono del suo partito i commenti più esagerati in favore dell’uomo di pace, uomo giusto al posto giusto, sempre da noi difeso, porterà la pace nel mondo, corredati nelle ultime ore dal copia-incolla delle proposte politiche più estreme. Ieri Claudio Borghi ha invitato a portare subito l’Italia fuori dall’Organizzazione mondiale della Sanità: lo ha fatto Trump, dobbiamo farlo anche noi.

I Fratelli d’Italia sono meno specifici ma non intendono farsi lasciare indietro. «Giorno destinato a cambiare la Storia», scrive Carlo Fidanza da Washington, «non vediamo l’ora di lavorare insieme!». «Le sue priorità sono le nostre, le stesse dell’Europa» fa eco l’altro invitato speciale, Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo. E sinceramente non si capisce come possano essere simmetriche le priorità di un presidente che rilancia l’eccezionalismo americano, la teoria del “destino manifesto” secondo cui gli Usa sono titolari esclusivi di una missione di civiltà da realizzare, con la difesa dell’identità del Vecchio Continente e della sua cultura sedimentata nei secoli.

Meno esposta la leader di FdI Giorgia Meloni, e si capisce il motivo. Tanti sforzi, e persino sofferenze, per portare gli eredi del Msi oltre ogni cintura sanitaria nazionale ed europea, conquistare gli establishment economici, mostrarsi compatibili con la costituency democratica sui diritti, il rifiuto del totalitarismo, la condanna delle nostalgie autoritarie, e poi arriva quello che fa una specie di saluto romano in mondovisione e ogni singolo militante si chiede: perché io no? Cos’è quest’anticaglia giudicante a cui dovrei rispondere? E perché sentire ancora il bisogno di giustificarsi per certe dichiarazioni spericolate quando il politically correct è stato dichiarato morto e sepolto? Se Trump il Faro, Trump il Titano, Trump la Fortezza della nuova era, ha vinto accusando gli haitiani di mangiare i gatti americani, non si vede il motivo di limitarsi nella provocazione oratoria. Se Trump il Grande può scarcerare, applaudito, centinaia di Proud Boys responsabili dell’attacco al Campidoglio Usa, nulla è interdetto, nulla è vietato per difendere “i nostri”.

L’approdo di questo sentimento di rivalsa si comincia a intravedere. Gira molto sui social il video della firma dei primi ordini esecutivi del nuovo presidente. Trump li sottoscrive in pubblico, con una serie di enormi pennarelli neri che poi lancia alla folla in visibilio, come una rockstar. C’è l’ordine per mettere fine al diritto di cittadinanza per nascita, quello per ripristinare la pena di morte federale, il divieto ai dipendenti federali di lavorare da casa, la dichiarazione dello Stato d’emergenza ai confini del Messico, la sospensione di tutti i programmi di assistenza estera, l’addio agli accordi di Parigi sul clima. Ai follower di destra la scena piace moltissimo. Chiosa Viktor Orban: «Quelle disposizioni cambieranno non solo gli Usa ma il mondo intero. La ribellione contro la democrazia woke liberale entra in una nuova fase. È giunto il momento che le forze patriottiche occupino Bruxelles». Testuale.

Il cerchio si chiude, perché hai voglia a dire Italia cerniera, Italia mediatrice, destra conservatrice in pole position per trattare e ammorbidire. L’esaltazione acritica della rivoluzione trumpista porta esattamente lì, alla questione posta dal premier ungherese senza peli sulla lingua: se è vero che si condivide, se è vero che si concorda, se gli applausi sono sinceri, ci si comporti di conseguenza. Si firmino decreti, si muovano i patrioti, si marci contro il modello europeo in nome del modello americano. Ora si può.


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