De Luca all’attacco di Bersani. Tra insulti e grappini l’ultimo nemico (ritrovato) del governatore in trincea

(di Tommaso Labate – corriere.it) – «A Bersani consiglio di farsi un grappino la sera e di andare a dormire perché si sta rincoglionendo». Come gli amori di quella vecchia canzone di Antonello Venditti, che non a caso si chiamava Amici mai, anche il mirino degli insulti di Vincenzo De Luca fa dei giri immensi e poi ritorna. In questo caso, a colpire direttamente in casa, a sinistra, dove a fare le spese del coloritissimo eloquio deluchiano — si fa per dire — stavolta è uno che l’aveva già sperimentato sulla propria pelle, e cioè Pier Luigi Bersani.
«Lo berrò alla sua salute», sottotesto il grappino, aveva replicato a caldo ieri l’altro l’ex segretario del Pd, uno dei tantissimi esponenti democratici a essere finiti al centro dell’attenzione del governatore campano per la questione del terzo mandato, su cui era stato persino più accorto di moltissimi altri compagni di partito. Infatti, sempre Bersani, dormendoci una notte di più, sull’invito di De Luca ad andare a coricarsi soltanto dopo aver consumato un distillato come si deve e soprattutto sulla diagnosi politica di «rimbambimento» (anche se la frase originale contemplava una versione decisamente meno soft), aggiunge: «Anche quando penso che sbagli alla grande, anche quando mi insulta, con lui non riesco ad arrabbiarmi. Mi arrabbio di più con gli ipocriti».
L’incrocio De Luca-Bersani riporta alla storia antica del deluchismo inteso come cifra politico-stilistica, reso d’attualità soprattutto da quando sono diffusi i social network. Era il 2012, all’alba della campagna elettorale che avrebbe portato il Pd bersaniano alla bruciante «non vittoria» del 2013. I due erano assieme a un’iniziativa e l’allora sindaco di Salerno se l’era presa col sigaro: «Ma buttalo ‘sto sigaro, è una questione d’immagine, ma chi ti consiglia? Tra l’altro sei anche un marito morigerato, non hai neanche la fantasia di Bill Clinton… Pigliatevi il segretario per quello che è. Non ha l’andatura di John Wayne, si deve fare anche pure la convergenza ai piedi perché ha i piedi a 45 gradi…».
Da lì, complice la diffusione che il video aveva avuto su Facebook, era cominciato un nuovo De Luca. Che poi è quello di oggi, l’uomo di Giorgia Meloni con «stile da stracciarola». In mezzo, i tanti tormentoni dedicati all’ex tridente d’attacco del Cinque Stelle, Luigi Di Maio «il chierichetto», Roberto Fico «il moscio», Alessandro Di Battista «il gallo cedrone», che sommati, nella somma algebrica della calcolatrice del governatore campano, facevano «tre mezze pippe, falsi come Giuda, che vi possano ammazzare!». Politicamente, s’intende.
Decisamente meno politici sono stati i mestieri che De Luca ha suggerito agli avversari ogni volta che si sono frapposti tra lui e un obiettivo. Di Maio «avrebbe potuto fare il carpentiere», Salvini «sembra un venditore di cocco o un parcheggiatore abusivo»; quanto a sé medesimo, «se Schlein mi dà la metà dei trecento euro che dà all’armocromista, prometto di fare di meglio».
La sensazione, insomma, è che se davvero finirà per difendere il suo terzo mandato alle urne, e non con le carte bollate, si saprà da dove si parte ma nessuno potrà mai immaginare dove si arriva. Perché con De Luca è così. «Si è pensato che volessero fare un barbecue», disse la volta che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il suo spin doctor Rocco Casalino imbastirono in piena emergenza Covid la celebre conferenza stampa «sanificata» piazzando un tavolino all’aperto, davanti all’ingresso di Palazzo Chigi.
Poi c’è sempre quel mirino dei giri immensi, che esce dal Pd ma poi torna a puntare in casa propria. Quando Schlein iniziò la sua battaglia contro il terzo mandato, il governatore rispose proponendo un’altra riforma. «La più urgente, visto la quantità di squinternati che c’è in giro: la riapertura dei manicomi». Dantescamente, e più non dimandare.