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Mentre l’Europa pensa ai tappi di plastica, Usa e Cina costruiscono il futuro

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Ai, l’Europa schiacciata dalle regole resta a guardare Usa e Cina. Lo studioso Alec Ross: «Nel Vecchio continente si vedono solo i rischi e non le opportunità». Lo scudo delle norme è diventato un guscio per rinchiudersi, ma può ancora cambiare rotta

La nuova app cinese DeepSeek


 

(Arcangelo Rociola – lastampa.it) – Ora è una partita. Una partita vera. Con una squadra che attacca, una che difende, accelerazioni e ribaltamenti di fronte. La corsa all’Intelligenza artificiale entra nel vivo con un progetto cinese, DeepSeek, che ha dimostrato di poter giocare alla pari con i campioni americani del settore. Una sfida che in qualche modo tocca anche l’Europa. Che all’improvviso rischia di cambiare ruolo: da arbitro a spettatore, da continente all’avanguardia nella regolamentazione e nella giurisprudenza sull’Ai a fruitore passivo di tecnologie sviluppate altrove. Nonostante la sua ricchezza, nonostante la bravura delle sue aziende, dei suoi ingegneri.

Il nuovo scenario

Eppure, l’avvento del chatbot DeepSeek, porta con sé uno scenario nuovo. Perché dimostra che la corsa all’Ai non è una partita tra pochi colossi americani. C’è un’alternativa a ChatGpt di OpenAi, a Gemini di Google o a Claude di Anthropic. Un’alternativa che ha i suoi problemi, i suoi pregiudizi, la sua lettura della storia – le non risposte date ad esempio sui fatti di Tiananmen, o sulla natura di Taiwan, sono già diventate un caso politico. Ma DeepSeek ha aperto una breccia. E in quella breccia si intravede lo spazio per la nascita nuovi attori.

La partita globale è appena iniziata. «Se vuole giocarsela l’Europa deve disfarsi dell’Ai Act. È una legge che sta frenando lo sviluppo di questo settore. Non ci sono altre strade: va superata. È una legge stupida, forse la più stupida di tutte le leggi europee». Alec Ross è docente alla Bologna Buisiness School. È l’uomo che ha coniato quello che oggi è diventato quasi un mantra quando si parla di Ai, terreno dove «gli Usa innovano, la Cina copia e l’Europa regola». Ta i massimi esperti di economia digitale, è appena tornato in Italia dopo qualche mese negli Stati Uniti. La sua voce è quella di chi ha ancora le immagini vivide di un paese in grande cambiamento e un tono diretto e pragmatico nelle risposte, senza lasciare spazio a dubbi o fraintendimenti. «Negli Usa quando si parla di Ai se ne parla in termini di opportunità e applicazioni possibili. Medicina, ambiente, energia, educazione. Qui in Europa se parla sempre e solo come rischio. È un freno culturale prima che normativo. E così all’Europa non resta molto da fare se non guardare da spettatore passivo», ragiona Ross.

L’Europa impantanata

L’Ue ha le sue aziende che fanno Ai. Qualcuna è diventata importante a livello globale, come la francese Mistral, forte di finanziamenti americani e europei (Microsoft è il suo primo investitore) e una valutazione arrivata a 6 miliardi. Altre, come l’italiana iGenius, prova a giocare una propria partita. Ma la distanza con gli Usa e la Cina è ancora enorme. «L’Europa può ancora scendere in campo. Ci sono i talenti, ci sono le risorse, ci sono anche centri di ricerca all’avanguardia. Ma deve invertire le sue politiche sul settore. Girare di 180 gradi e fare l’opposto di quello che fa ora. Meno convegni, meno filosofi e ragionamenti sull’etica, più applicazioni», continua Ross. Il ragionamento dell’economista è che le regole imposte da Bruxelles sullo sviluppo dell’Ai sono un freno. Nato un anno fa, arrivato dopo due anni di discussioni in sede europea, l’Ai Act è nato con l’intento nobile di difendere i cittadini europei dai possibili rischi legati all’intelligenza artificiale. Uno scudo alla privacy, alla tutela di minoranze e aziende. Uno scudo, è l’accusa, che però oggi è diventato un guscio in cui l’Europa si è rinchiusa. Incatenando l’innovazione alla burocrazia. «DeepSeek non poteva nascere in Europa. Troppi passaggi, troppa lentezza nelle certificazioni, nelle autorizzazioni, nei controlli sul livello di rischio. Con le politiche attuali non sarebbe possibile fare nulla del genere», spiega.

Una legge da cambiare

Gli ingegneri della startup cinese che ha lanciato DeepSeek (nata solo un anno fa), hanno basato i loro modelli replicando alcuni modelli linguistici di grandi dimensioni copiando quelli americani. E lo hanno fatto bene. L’Ai è una tecnologia che si muove velocemente. Così velocemente da riuscire a ridurre il vantaggio competitivo di chi c’è arrivato prima in una manciata di mesi. Ma non per tutti questa Europa, con queste leggi, è destinata a giocare in disparte. «L’Europa trasferisce 300 miliardi l’anno in prodotti e servizi ad aziende americane, che potrebbero avere un impatto enorme se investiti in aziende locali. Possiamo ancora giocare questa partita», spiega Matteo Flora, imprenditore digitale e tra gli esperti più accreditati di Ia in Italia.

«L’Ai Act non è per forza da buttare. Fa parte di una visione europea, più legata ai diritti dei cittadini. C’è una proposta che si sta discutendo in questi mesi: la creazione di un 28esimo stato virtuale dell’Ue in grado di uniformare il diritto commerciale nel mercato dell’innovazione», continua Flora. Una piattaforma virtuale che riunisca risorse, competenze e progetti dei 27 Paesi Ue. Un laboratorio in grado di unire università, centri di ricerca, aziende e startup con un sistema sotto una unica governance e far uscire il Vecchio Continente dal pantano normativo.
Le proposte non sono molte. E il tempo a disposizione sempre di meno. La breccia è ancora aperta, non si sa per quanto.


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