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La difesa di Todde: “Decadenza illegittima”

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spese elettorali – A un mese dal provvedimento del Collegio di garanzia, la presidente spiega le sue ragioni: “Non avevo l’obbligo del rendiconto”

(Di Mauro Lissia – ilfattoquotidiano.it) – Alessandra Todde “non ha acquisito risorse economiche in prima persona, né ha sopportato direttamente delle spese”: ha pensato a tutto il Comitato elettorale del M5S, quindi la candidata non era obbligata a rendicontare e neppure a nominare un mandatario. Se anche valesse la prima dichiarazione scritta dall’ex sottosegretaria del Campo largo alla Corte d’Appello (“ho speso 90.629 euro”) le sanzioni della legge 515/93 “non si applicano al candidato presidente della Regione Sardegna, ma solo ai candidati consiglieri”.

Saltato l’altra sera l’embargo che ha tenuto nascoste per quattro giorni le ragioni difensive della presidente della Regione Sardegna, alle prese con la richiesta di decadenza firmata poco prima di Natale dal Collegio di garanzia elettorale, ecco finalmente la lettura alternativa dei fatti e le valutazioni, a tratti irridenti e comunque molto aspre, dei quattro legali in risposta a un’ordinanza severissima, finita anche nelle mani della Procura della Repubblica con un’esplicita ipotesi di falso in atto pubblico. In 34 pagine analitiche, il ricorso al Tribunale civile depositato il 27 gennaio contesta parola per parola e fatto per fatto il provvedimento (“manifestamente illegittimo”) passato a ristretta maggioranza e firmato dalla presidente della Corte d’Appello Gemma Cucca, affermando che “con incomprensibile spregio della normativa applicabile tenta sciattamente di creare una nuova ipotesi di decadenza che deriverebbe dalla contestazione di una generica sommatoria di infrazioni, che pur non sanzionate singolarmente dalla legge a pena di decadenza secondo il Collegio di garanzia determinerebbero, in caso di coesistenza, una nuova ipotesi di decadenza”.

Per i legali la realtà è un’altra: ogni spesa sostenuta per le elezioni regionali del 22 febbraio risulta puntualmente documentata e comunicata alla Corte dei Conti. “La verità che il Collegio elettorale non ha voluto vedere – è scritto nel ricorso – è che tutti i finanziamenti e tutte le spese sono state affrontate dal M5S, che poi le ha rendicontate alla Corte di Conti, senza che sia configurabile un obbligo di ulteriore documentazione da parte della Presidente Todde”. In altre parole: il Collegio – è la tesi dei legali – ha forzato una norma inapplicabile e un ulteriore vuoto normativo che riguarda la Sardegna, peraltro segnalato da due dei magistrati componenti il Collegio, pur di arrivare alla richiesta di sanzione. Un accanimento – parole degli avvocati – che per il leader del M5S Giuseppe Conte dovrebbe sfociare in una citazione a giudizio per danni, mentre a leggere il ricorso integra quanto basta per sospendere subito l’efficacia dell’ordinanza (“il danno alla reputazione della Todde è già presente e grave”) e quindi annullarla. Il ricorso al Tribunale contiene poi elementi ancora più complessi, riferiti al tema centrale dell’autonomia sarda: per i legali la decisione del Collegio “è in contrasto sia con lo statuto speciale della Sardegna sia con la legge regionale 12 del 2013 che distinguono nettamente presidente, giunta regionale e consiglio regionale”. Qui entra in gioco la tesi secondo la quale al candidato presidente, eletto direttamente, non può essere applicata la stessa legge che riguarda i consiglieri. Sussisterebbe infine un “difetto assoluto di attribuzione, che determina la nullità radicale del provvedimento ed è in contrasto con l’architettura costituzionale e statutaria della Regione Sardegna perché compromette l’equilibrio tra gli organi di governo regionale”.

Sembra, quest’ultima, una carta di riserva da spendere più avanti: un ricorso alla Consulta che sospenderebbe la causa e allungherebbe di molto i tempi del giudizio civile. Restano i punti interrogativi legati alla prima comunicazione, successivamente ribaltata, di Alessandra Todde al Collegio sulle spese affrontate direttamente e il documento contabile in cui il direttore del Comitato elettorale del M5s Ettore Antonio Licheri si definisce “committente” della candidata: per i difensori è un errore materiale perché “voleva scrivere Comitato”. Sarebbe una differenza sostanziale, sufficiente a mettere in discussione la rilettura difensiva dei fatti. Ma qui, come nell’intera vicenda, il giudizio compete al Tribunale civile: il 20 marzo la prima udienza.


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