
(Paolo Cornetti – lafionda.org) – In questi giorni la diplomazia internazionale si sta muovendo in maniera estremamente rapida, molto più di quanto non abbia fatto per mesi.
Il vertice di Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, sembra aver tracciato il primo passo verso la cessazione delle ostilità in terra d’Ucraina.
Le basi su cui si tratterà paiono essere le seguenti:
- I territori del Donbass conquistati dalla Russia rimarranno a Mosca, insieme ovviamente alla Crimea
- L’Ucraina si ritirerà da Kursk
- L’Ucraina rimarrà neutrale e non aderirà alla NATO
Una bozza che potrebbe soddisfare sia gli Stati Uniti che la Russia, ma a questo punto anche l’Ucraina, ma non Zelensky, perché un accordo del genere segnerebbe inequivocabilmente la sua sconfitta e la sua fine.
Nel dettaglio, la Russia uscirebbe chiaramente da questa fase storica con più incertezze rispetto a quando è iniziata l’erosione della sua sfera d’influenza in Ucraina, con le rivoluzioni arancioni del 2004, ma al contempo, guadagnerebbe rispetto al 2014 riuscendo a riconquistare territori e a formalizzare la neutralità dell’Ucraina, tenendo così un po’ più lontani dai propri confini i missili della NATO, e non ultimo per importanza, potendo a celebrare in patria una vittoria militare contro il nemico occidentale. Certo, lo scenario dal punto di vista russo non è il migliore che si potesse prospettare, ovvero con l’Ucraina a fare da stato cuscinetto sotto l’influenza russa e come dottrina russa vorrebbe, ma plausibilmente è il migliore ottenibile nel contesto attuale, considerando anche che, malgrado ci saranno parecchi miliardi da investire per ricostruire, le risorse minerarie del Donbass fanno sempre comodo.
Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno già ottenuto una serie di conquiste importanti, dall’aver fiaccato militarmente ed economicamente una potenza avversaria, ad aver allontanato in via sostanzialmente definitiva (almeno per diversi anni a questa parte salvo stravolgimenti) i paesi dell’Unione Europea dalla Federazione Russa e avere alimentato enormemente la dipendenza economica ed energetica della stessa UE. Allo stesso tempo, l’esborso economico è stato consistente e a Washington, dove già vivono con le loro difficoltà interne, non sembrano proprio disposti a portarlo avanti ulteriormente, preferendo indirizzare i propri sforzi verso quello che è considerato il vero nemico del momento: la Cina.
Inoltre, se andrà in porto l’accordo con l’Ucraina sulle terre rare, come probabilissimo, questo creerà un vantaggio non da poco che in parte ripagherà dello sforzo bellico. Ciò si aggiunge al fatto che, anche se con ogni probabilità non in maniera ufficiale, gli Stati Uniti rimarranno i garanti e i controllori di ciò che resterà dell’Ucraina.
Kiev, invece, si ritrova con un paese sostanzialmente distrutto e serviranno decenni per ricostruire. Quanto rimane di intere generazioni dovrà convivere con i traumi della guerra. Il supporto interno di Zelensky sembra andare via, via verso un deterioramento, il morale delle truppe è basso e il troncamento dei finanziamenti americani segnerebbe una debacle totale, che però né gli Stati Uniti, né ovviamente gli stessi ucraini si augurano.
Al tavolo delle trattative, dunque, si siedono Russia e Stati Uniti e non è chiaramente un caso. Sono le due potenze che si sono confrontate in questa guerra, ma la Russia l’ha fatto con le sue forze armate, gli Stati Uniti utilizzando le vite delle forze armate e dei civili ucraini.
In tutto questo Ucraina e Unione europea rimangono a guardare, cercando inutilmente di delegittimare il vertice di Riyad, e sperando di essere coinvolte in qualche fase della trattativa, anche se ciò probabilmente avverrà solo a giochi fatti quando ci sarà un documento da firmare.
Se l’Ucraina non ha evidentemente la forza né, come detto, la legittimazione per trattare da sola con la Russia, ciò che sta succedendo all’Unione Europea è ben differente.
L’UE sta sostanzialmente facendo di tutto per non farsi coinvolgere nelle trattative, continuando a soffiare sul vento di una guerra che ha già perso, pur non avendoci partecipato direttamente. Sì. Sarebbe ora di ammetterlo. L’UE ha perso la guerra che è stata combattuta contro i suoi stati. Che ha portato, appunto, ad aumentare la dipendenza dalle risorse e dall’economia americana e che è stata portata avanti contro gli interessi dei popoli europei che si sono visti pesantemente colpire dall’inflazione dovuta al repentino cambiamento nell’approvvigionamento energetico e dalle stesse sanzioni che ha inflitto l’Unione.
Il ruolo di Bruxelles avrebbe potuto essere chiaramente diverso dal principio, se si fosse deciso che la via da perseguire era quella diplomatica a tutti i costi e non quella della guerra a tutti i costi, portando a far diventare le posizioni di Polonia e Paesi baltici quelle dominanti, malgrado andassero, appunto, contro gli interessi del resto del continente. Certo, ciò avrebbe voluto dire andare contro gli Stati Uniti e l’amministrazione Biden, ma avrebbe imposto sul piano internazionale una posizione terza e forte, che oggi sarebbe stata fondamentale.
La direzione intrapresa ieri, e che oggi è diventata palesemente antistorica, è però dura a morire. L’Unione Europea continua comunque nella sua guerra, essendosi immedesimata così tanto nel ruolo del servo obbediente da non riuscire più a uscire dalla parte. D’altronde gli Stati Uniti hanno potuto giocare la carta del cambio politico al vertice per mutare la propria posizione sulla guerra in Ucraina, mentre i leader europei oggi dovrebbero ammettere di aver perseguito una linea completamente fallimentare, sostenendo per tre anni che l’Ucraina avrebbe sicuramente vinto la guerra e che la Russia sarebbe stata annientata. Tutto questo giocando sulla pelle del popolo ucraino.
Oggi, questo tentativo di emancipazione dalla nuova linea degli Stati Uniti appare più che mai goffo. Il vertice di Parigi – seguìto alle pesanti critiche di Vance a Monaco di Baviera – voluto da Macron, non ha dato alcun tipo di risultato unitario e nessun documento è stato firmato. Le posizioni sono diverse, c’è chi vuole mandare truppe di interposizione (che la Russia rifiuterebbe) e chi vuole continuare a inviare armi a Kiev (malgrado sia stato già mandato tutto il mandabile) o chi, come la Meloni, vuole una soluzione in accordo con gli USA. Ciò che appare più evidente è che il mutamento della linea statunitense ha mandato tutti in confusione e che lo spirito unitario in Europa, in un senso o nell’altro, non esista nemmeno lontanamente. D’altronde, Macron che prova a tirare le fila – come fa sempre la Francia quando gli USA si allontanano dall’Europa – sembra più che altro voler alzare la voce per trovare in questa maniera una legittimazione internazionale essendo ormai stato completamente scaricato dai cittadini francesi, e lo stesso discorso vale per il premier britannico Stramer. Tentativo che probabilmente finirà per essere un buco nell’acqua.
E non solo, per volere degli Stati Uniti l’UE sembra essere la destinata a pagare per la multimiliardaria ricostruzione dell’Ucraina, la quale potrebbe proseguire il suo iter per entrare nell’Unione (la Russia non porrebbe il veto nelle trattative).
In una situazione di crisi economica generalizzata del continente e di sofferenza per i cittadini, Ursula von der Leyen ha annunciato la necessità di aumentare le spese militari per la difesa, che saranno escluse dal patto di stabilità. Questo, più la destinazione di un’ingente quantità di denaro alla ricostruzione dell’Ucraina pone diversi interrogativi ai cittadini europei, ai quali, però, la classe dirigente non sembra avere intenzione di rispondere.
Le misure di austerità subite negli anni, l’indirizzo economico imposto dalle regole europee che hanno obbligato gli stati a tagliare pesantemente il proprio settore pubblico collidono non poco con questa nuova direzione intrapresa, anche se in parte sarà verosimilmente finanziata da ulteriori tagli. E di mezzo ci finiranno ancora una volta sanità, istruzione, infrastrutture pubbliche e costringeranno un intero continente ad armarsi fino ai denti, ma tenendo la pancia vuota.
A meno che queste tremende contraddizioni non decretino una fine e un nuovo inizio.