Voto, Sanremellum versus Rosatellum: una provocazione

(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – C’è un argomento che appassiona l’Italia in queste settimane di febbraio, ed è il sistema elettorale utilizzato nella più importante delle competizioni di questo disgraziato Paese, ovvero il Festival di Sanremo. Non ci è mai capitato, in prossimità delle elezioni politiche o durante le discussioni sul varo dell’ennesima nuova legge elettorale (cioè regolarmente prima di ogni voto, con tanti saluti alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa), di sentirci porre domande su meccanismi e correttivi, effetti flipper e pluricandidature, mentre in questi giorni abbiamo risposto a decine di informati quesiti sul Sanremellum, il sistema che sabato notte ha incoronato il giovane Olly. Quando e come votano i giornalisti? Perché si dice che la sala stampa non conta più molto? La Rai ha apportato modifiche al sistema di voto, soprattutto nella cruciale fase finale che è un bizzarro doppio turno in cui confluiscono anche tutti i voti precedenti. L’anno scorso ci fu una rivolta di popolo perché Geolier aveva stravinto al televoto, ma le preferenze della sala stampa avevano incoronato Angelina Mango, un po’ come accadde nel 2019, quando il peso della sala stampa e della giuria d’onore fu decisivo per il sorpasso di Mahmood su Ultimo (che la prese malissimo).
A questo giro si è deciso che la stampa contasse meno, grazie a un trucchetto degno di Calderoli: nella finalissima a cinque (e non a tre) i giornalisti non esprimevano più una preferenza secca, ma voti da uno a cinque a tutti i selezionati, con un evidente effetto dispersione. L’analisi dei dati ha svelato che con il sistema dello scorso anno il Sanremo numero 75 sarebbe stato vinto da Lucio Corsi, e che con il sistema di quest’anno il Festival 2024 l’avrebbe vinto Geolier. Abbiamo usato la parola “trucchetto” perché la Rai ha provato a dire che la Sala stampa votava esattamente come l’anno scorso: però, parafrasando Cuccia, i voti non si contano, si pesano. Sia come sia, è perfettamente legittimo che l’evento più nazional popolare della televisione italiana, specie in questa sua seconda sfolgorante giovinezza, coinvolga il pubblico che partecipa con tanto entusiasmo da casa.
Detto questo, resta un interrogativo: perché il sistema di voto del festival della canzone appassiona così tanto gli italiani e quello che serve per mandare in Parlamento i nostri rappresentanti no? D’accordo: il parlamentarismo è agonizzante e la democrazia non si sente troppo bene, però è pur sempre l’unico modo che abbiamo per decidere da quale parte vogliamo che vada il Paese. Le ultime leggi elettorali, dal Porcellum al Rosatellum passando per il mai utilizzato Italicum, sembrano scritte apposta per non far capire al popolo come il voto si traduce in seggio: leggi così astruse allontanano i cittadini. Negli altri Paesi – Francia, Spagna, Germania, Inghilterra ma anche Stati Uniti – il sistema di voto è sempre lo stesso, non bisogna fare corsi d’aggiornamento e nemmeno laurearsi in Scienza politica prima di recarsi alle urne. Qui c’è una specie di nevrosi delle classi politiche che studiano modelli complicatissimi, sulla base dei sondaggi, pur di vincere, o almeno provarci. Sarebbe bello che si decidesse, una volta per tutte, un sistema semplice che premi più di ogni cosa la rappresentanza (e non la governabilità) come era nelle intenzioni dei Costituenti. Noi siamo da sempre per il proporzionale puro e pure con una soglia di sbarramento bassa, specie ora con il Parlamento dimagrito, visto che il sistema partitico italiano non è bipolare (e non lo è diventato nemmeno con la forzatura maggioritaria degli anni Novanta). Se non riescono a partorire una legge decente, stabile e possibilmente costituzionale possono sempre chiedere una consulenza a Carlo Conti, che almeno porta la gente al voto, siamo pur sempre La terra dei cachi… (disclaimer: è una provocazione).