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Il caso Al Masri e le ristrettezze del nostro dibattito

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(Dario Raffone – lafionda.org) – In questa nostra modernità tutto è fugace. Specialmente il dibattito politico che nella sua precarietà dimostra la sua intima connotazione: la “nientitudine”. Accade così che cose, pur gravi e sbandierate in via preminente all’opinione pubblica, scompaiano dopo pochi giorni inseguite e cancellate da fatti più vicini.

Così è successo nel caso del libico Al Masri con tutti i conseguenti corollari (polemiche, esposti a carico di Meloni ed altri, accuse ai giudici per non averlo tenuto in arresto ecc.)

Tutte cose rapidamente inabissatesi a seguito delle fiammeggianti iniziative trumpiane (con molti ustionati in Europa ed anche in casa nostra) e, specialmente, di fronte al grande dibattito sulle matrici culturali del festival di Sanremo.

Posata la polvere, rimangono però le cicatrici di conflitti sulle vicende giudiziarie pronte a riaprirsi al prossimo caso.

L’occasione è comunque utile per mettere in chiaro alcuni punti oggetto di mistificazioni su quanto realmente successo, spesso dovute non a malafede ma a semplice ignoranza, cosa, quest’ultima, che circola in grande quantità nelle varie arene mediatiche, social in testa.

La materia è regolata dalla legge 232/1999 che ha recepito, in Italia, lo statuto della Corte penale internazionale (CPI) dell’AIA, organo dell’ONU, nonché dalla legge 237/2012 che ha dettato le norme per la relativa attuazione.

L’art. 4 di quest’ultima legge assegna al Ministro della giustizia l’esclusivo diritto di richiedere l’attuazione dei mandati e delle istanze della CPI al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. Tale procuratore e tale Corte sono gli organi giudiziari chiamati a decidere sulla regolarità formale della procedura.

Diversamente da quanto previsto dall’articolo 716 del codice di rito penale in materia di estradizione su richiesta di uno Stato estero con cui esiste la relativa convenzione, nella procedura della CPI non è previsto l’arresto ad opera della polizia giudiziaria come avvenuto invece irritualmente a Torino. E ciò perché l’unico interlocutore della CPI è il Ministro della giustizia. In ogni caso, il Ministro avrebbe potuto sanare tale irregolarità formulando la relativa richiesta sulla base degli atti nel frattempo pervenuti dall’Aia, sia pure con la grave difficoltà di essere questi redatti in lingua inglese come riferito dal buon Nordio.

Tale richiesta non è mai stata formulata e, in realtà, nelle more di tutto ciò, era già decollato per Torino  l’aereo di Stato che avrebbe riportato Al Masri in Libia. Per cui, in assenza di valido titolo di detenzione, il Procuratore Generale di Roma, decorse le 48 previste dalla legge interna (applicabile ex art 21 dello statuto di Roma che ha istituito la CPI dell’Aia) ha dovuto ordinare la scarcerazione del fermato.

Altra vicenda su cui molto si è discusso, nei vari bar dello sport che ormai costituiscono il luogo del nostro dibattito democratico, è l’esposto dell’avvocato Li Gotti contro Meloni, Nordio ed altri con cui gli stessi vengono accusati di favoreggiamento e peculato in ordine alla vicenda sopra narrata. Nelle appassionate discussioni sorte a seguito di ciò, le opposte fazioni si sono divise sul fatto se l’invio del Procuratore Lo Voi di tale esposto al Tribunale dei Ministri, competente per i reati ministeriali, costituisse un atto dovuto o invece, come ritenuto da molti laureati nei luoghi suddetti, abbia dato luogo ad un abuso trattandosi di accuse da cestinare.

Tutti allegramente concionanti “in munere alieno” per parafrasare un celebre brocardo di cinquecentesca memoria.

Rileggendo le righe che precedono, mi rendo ben conto di quanto tutto ciò sia noioso, astruso, fastidiosamente complicato. Ridotti tutti, come siamo, ad essere dei solipsisti da tastiera, abbiamo smarrito senso della misura e intelligenza dei nostri limiti e competenze e maturato, in compenso, insofferenza verso ogni forma di pacata riflessione.

Siamo il prodotto di un individualismo senza legami sociali, terreno fertile per la morte di ogni forma di democrazia responsabile. Scambiamo le ciarlatanerie per informazione, il dissenso senza fondata motivazione per partecipazione. Sono derive, queste, un tempo contrastate da forti narrazioni ideologiche che rendevano i partiti politici anche luoghi di educazione alla democrazia ed al rispetto.

Ci agitiamo, oggi, come smarrite comparse su palcoscenici costruiti da altri e pensiamo di poter svolgere un ruolo che vada oltre le nostre personali frustrazioni.

Ed eleggiamo rappresentanti che recitano, in questo teatro del niente, copioni di nessun interesse ulteriore rispetto a quello loro personale, sostanzialmente indifferenti al degrado di ogni istituzione della vita civile.


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