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L’imbarazzo per il fascista Bannon: Bardella rinuncia alla convention, Meloni no

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Alla convention dei conservatori Usa il trumpiano fa il saluto romano. Bardella si tira indietro. La premier interviene in video. Per distrarre dai guai la strategia è semplice: attaccare i pm

(Simone Alliva – editorialedomani.it) – Con il braccio teso di Steve Bannon ancora negli occhi, Giorgia Meloni si presenterà sabato 22 (ore 19.15 in Italia) in video collegamento proprio alla conferenza dei conservatori americani. Due giorni fa a Washington l’ideologo del movimento Maga e stratega della prima amministrazione Trump ha intrattenuto i presenti con un saluto nazista, facendo scappare persino Jordan Bardella, presidente di un partito non proprio moderato, il Rassemblement National di Marine Le Pen, nato sulle ceneri del neofascista Front National. Bardella ha annullato il suo intervento in evidente imbarazzo. Bannon non l’ha presa bene: «Se è così tanto timoroso e si fa la pipì addosso come un ragazzino allora è indegno e non dirigerà mai la Francia».

Impassibile Meloni che da settimane disserta il parlamento, non parteciperà alla riunione del G7, ma vede nella convention americana un’opportunità per rispolverare l’immagine di donna di Stato e distrarre da una settimana complicata da teorie del complotto sull’eterno nemico della destra: la giustizia.

Per chiarire subito di cosa si stia parlando, bisogna partire dalle dichiarazioni del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, condannato in primo grado per rivelazione del segreto d’ufficio: «Sono stato condannato contro ogni ragionevole certezza della mia estraneità ai fatti». Ecco qua: una campagna abilmente orchestrata per colpire il governo Meloni. A indicare i congiurati ci pensa prima lo stesso Delmastro: «È un dato di fatto che il collegio fosse fortemente connotato dalla presenza di Md (la corrente di sinistra, ndr)».

Poi gli fa eco il vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli: «Praticamente la magistratura può colpire la politica ogni volta che vuole, se sbaglia intanto ha destabilizzato il sistema». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e responsabile comunicazione del governo Giovanbattista Fazzolari dà un ordine chiaro: difendere Delmastro contro quella che «è una sentenza politica».

In fondo Delmastro è un pezzo pregiato di FdI, cresciuto nella generazione Atreju, di provata fede meloniana. Della premier (che si è detta sconcertata dalla sentenza) è stato anche avvocato. Così l’arringa – questo è, un’arringa difensiva – è corale: «Non vedo un grande fondamento giuridico nella sentenza che ha condannato Delmastro, mi sembra più una scelta politica finalizzata a dare un colpo alla riforma della giustizia», ha commentato il vicepremier Antonio Tajani. Matteo Salvini resta in silenzio ma manda avanti il sottosegretario alla Giustizia, il senatore Ostellari: «Esprimo piena solidarietà. Mi rammarica l’esito di un processo per il quale i pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione».

Il nemico che aiuta

Il caso può dare un mano a un governo che ha rinunciato alle grandi riforme ma possiede un talento: alimentare complotti per distrarre dal caso Almasri che vedrà la Camera impegnata martedì per la mozione di sfiducia contro il ministro della Giustizia, dal pasticcio sul caso Paragon, ormai sprofondato nel caos più totale dopo che Nordio ha platealmente smentito alla Camera la linea di segretezza del sottosegretario Alfredo Mantovano. Ma soprattutto fa dimenticare per 24 ore l’imbarazzo della Meloni di fronte all’accordo Trump-Putin sull’Ucraina senza l’Ucraina.

Il disegno della magistratura contro il governo è un diversivo caro a Meloni. Nel luglio del 2023 la presidente del Consiglio e i suoi più stretti collaboratori a Palazzo Chigi parlarono di strane macchinazioni e di «giustizia a orologeria» proprio in riferimento a dei procedimenti giudiziari che riguardavano Delmastro e anche la ministra del Turismo Daniela Santanchè. Oggi è cambiata solo la posizione sulla ministra del Turismo. «Il primo caso è tutto politico – ragionano dentro FdI – la seconda è invece una storia privata, riguarda l’imprenditrice». A novembre del 2023, il ministro della Difesa Guido Crosetto denunciò una stagione di ostilità da parte della magistratura nei confronti del governo Meloni parlando di «opposizione giudiziaria». Poi arrivò il retroscena sulla sorella della premier, Arianna Meloni, dirigente di FdI. A firmarlo il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti che ipotizzò presunte manovre ordite da magistrati, organi di stampa e altri poteri non meglio definiti per portare a un’indagine nei suoi confronti.

L’ultima teoria del complotto chiude a possibili modifiche al ddl costituzionale sulla separazione delle carriere che ha avuto il via libera di Montecitorio e ora è a palazzo Madama. Se prima c’erano i margini di dialogo ora si sono assottigliati: «Se l’Anm continua con il muro contro muro abbiamo finito di discutere», osserva il presidente della commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni.

Lotta continua

Lo sciopero dichiarato dai magistrati per il 27 febbraio apre a una stagione sempre più rovente. L’Anm replica ai toni complottisti di Delmastro facendo riferimento proprio alla riforma: «Per dimostrare l’inutilità della separazione delle carriere, basta osservare la vicenda processuale che si è conclusa con la condanna in primo grado del sottosegretario Delmastro. Alla richiesta di archiviazione del pm un giudice ha ordinato l’imputazione, e alla richiesta di assoluzione di un pm il tribunale ha pronunciato condanna. Questo dimostra, come l’Anm sostiene da sempre, che il pm può chiedere l’assoluzione, nonostante la sua carriera non sia separata da quella del giudice». Ed è iniziata ieri (nessuno del ministero della Giustizia in aula) la discussione sulla proposta di legge già approvata dal Senato che prevede che «le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a 45 giorni». Il conflitto politica-giustizia continua. Ma, per dirla con Marina Berlusconi in una lettera al Giornale, un mese dopo la morte del padre: «Non doveva finire con Berlusconi la guerra dei trent’anni?».


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