Riflessioni su una polemica – Bisognerebbe delegittimare le opposte e ingannevoli narrazioni della questione: di chi vuole solo censurare e di chi, al contrario, vuole solo trasgredire
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(Di Stefano Bonaga – ilfattoquotidiano.it) – All’origine della filosofia greca fondante la nostra cultura occidentale – , diciamo da Platone ad Aristotele, a mio parere, e di qualcun altro – c’è la struttura linguistica dell’Indoeuropeo. Il nome diventa la sostanza dell’ente, che si presenta nella sua definizione, l’aggettivo prende il nome di qualità, il verbo fa emergere la temporalità. Propongo invece di pensare le cose come la fenomenologia dei loro effetti: cause. Quando si identifica il bicchiere come contenitore di liquido, dunque attraverso la sua definizione – cioè ciò che lo definisce limitandolo – di che si tratta allora se io prendo un bicchiere e lo spacco in testa a qualcuno?
Questa breve premessa è la base di una semplice riflessione sull’espressione-valigia “politicamente corretto”, dove bisogna cominciare a segnalare che politicamente è un avverbio che non riguarda la Politica, ma la Polis, ovvero gli esseri umani in comunità. Wittgenstein propone nelle Ricerche Filosofiche un paradigma, che egli ritiene di non chiamare teoria, poiché una teoria deve essere completa, mentre gli Sprachespiele sono in via di principio non tutti prevedibili; si traduce l’espressione tedesca con giochi linguistici. La caratteristica fondamentale di un gioco linguistico è che esso comporta sempre una posta in gioco.
Dunque, in breve, un nome non è di per sé politicamente corretto o scorretto, né lo è una frase. Esso perde la pretesa di significare poiché la sua funzione va giudicata nei termini dell’effetto che esso provoca, dunque rispetto alla posta in gioco che implica. La posta in gioco del politicamente corretto è semplicemente il rispetto per l’altro o per gli altri. Quando tale rispetto viene meno siamo nel politicamente scorretto, viceversa siamo nel politicamente corretto. Se il Generico Vannacci si difende dalle critiche dicendo che quando egli definisce gli omosessuali come anormali si riferisce alla definizione statistica del vocabolario e dunque si comporta come la sua quasi omonima Vanna Marchi, vale a dire propone della fuffa. Il suo gioco linguistico, in realtà, come lui per primo sa, ha come posta in gioco la discriminazione, non la rilevazione statistica. Qualunque appellativo che compaia in uno scherzo tra amici non manca di rispetto a nessuno, addirittura la parola più positiva – esempio “Bravo” – detta con tono ironico a qualcuno supposto sbagliare, ha un effetto che può andare dall’ironia, al rimprovero, fino al disprezzo.
Ora, nel tempo presente, circolano due articolazioni culturali sul tema del politicamente corretto. L’una consiste in una esasperazione enfatica e astratta dei vincoli linguistici che esso imporrebbe fino alla modifica risibile delle fiabe che arriva a scomunicare quella Bella addormentata nel bosco perché all’atto del principe che la bacia per risvegliarla, sarebbe non consenziente. O addirittura identifica il lupo, tradizionalmente metafora del male, con l’animale reale, di cui ci si atteggerebbe a protettori, in un delirio di animalismo iperrealistico, che potrebbe arrivare a riscrivere la favola di Cappuccetto Rosso, mangiata da un terrapiattista, per consolare tutti.
Dall’altra parte, si assiste ad un atteggiamento insopportabile a favore del politicamente scorretto, esibito con la sicumera di chi si sente narcisisticamente diverso, libero e originale, poiché in tal modo ci si sottrarrebbe al supposto mainstream. Questa mia breve riflessione aspirerebbe a delegittimare le due opposte e ingannevoli narrazioni con la speranza che un po’ di vergogna a diversa intensità fra i due modelli le accompagni.
Una battuta finale: quando Netanyahu nel 2019, ad un’assemblea ufficiale del Likud disse: “Dobbiamo finanziare Hamas” fu politicamente corretto?