Schlein e il presidente Emiliano adesso revochino quella richiesta

(DI TOMASO MONTANARI – ilfattoquotidiano.it) – Elly Schlein sta davvero cambiando il Pd? Con un certo cinismo, la segretaria sta usando la necessaria polarizzazione contro questa destra pericolosa non per accelerare il cambiamento che si aspettano coloro che l’hanno eletta “da fuori”, ma anzi per imporne agli elettori il volto peggiore (come a Firenze, dove la segretaria è andata più volte a mettere la faccia a favore dell’inguardabile sistema di potere del cacicco Dario Nardella). Ma il fronte in cui la contraddizione è più stridente, e dunque la credibilità più bassa, è quello della lotta contro l’autonomia differenziata. Giustamente, il Pd di Elly Schlein chiama alle manifestazioni di piazza per denunciare il carattere eversivo di una “riforma” che riporterebbe l’Italia a essere solo un’espressione geografica, dissolvendo l’unità nazionale e facendo sparire il concetto stesso di “solidarietà” dalla Costituzione di quella che sarebbe una specie di debole consorzio di 20 repubblichette destinate al declino. Bene, ma con quale credibilità lo fa, visto che una delle tre regioni che tuttora vuole questa autonomia è proprio l’Emilia-Romagna, il cui presidente è anche presidente del Pd, e la cui vicepresidente è stata proprio Schlein? La dissociazione conosce tratti tragicomici: uno degli attori della mitica chat di Massimo Giannini, che nasce proprio contro premierato e autonomia differenziata, è appunto uno Stefano Bonaccini “punitore di se stesso”. Come ha scritto Francesco Pallante (in Spezzare l’Italia, Einaudi), “l’Emilia-Romagna avanza un numero di richieste circoscritto rispetto alle altre due Regioni, ma quel che chiede è a volte persino più incisivo e, comunque, sempre relativo a materie di primario rilievo”. Per esempio, l’Emilia-Romagna vuole avere un proprio sistema scolastico regionale, in concorrenza con quello statale, in cui poter formare gli insegnanti e scrivere i programmi: moltiplicate per 20 questa aberrazione e avrete la fine della scuola della Repubblica. Bonaccini dovrebbe ora pubblicamene rinunciare alla richiesta di autonomia differenziata per la sua Regione: come nota ancora Pallante, un comitato di cittadini gli ha chiesto di farlo “presentando una proposta di legge regionale di iniziativa popolare, sostenuta da 6.000 sottoscrizioni, volta a disporre il ritiro della Regione dall’accordo stipulato nel febbraio del 2018 con il governo Gentiloni. Il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna ha preso atto dell’esercizio dell’iniziativa legislativa da parte degli elettori, ma non ha proceduto a porre in discussione la legge, evitando così di pronunciarsi su di essa. Altri cittadini hanno indirizzato una lettera aperta all’allora presidente Bonaccini, chiedendogli di rinunciare alle richieste formulate nel 2017 e di sconfessare le bozze d’intesa trapelate nel 2019: di nuovo, senza ottenere risposta alcuna. Bonaccini ha ripetutamente affermato di essere contro l’autonomia differenziata di Calderoli e ha espresso parere negativo nella sede della Conferenza Stato-Regioni sul disegno di legge proposto dal ministro. In che cosa consisterebbe la contrapposizione tra le due autonomie non è, però, dato conoscere, dal momento che le bozze d’intesa tra lo Stato e le tre Regioni venute alla ribalta nel 2019 sono in larga misura perfettamente sovrapponibili le une con le altre”. Non è una questione marginale: si tratta di capire a quale cultura politica appartiene un pezzo importante della dirigenza del Pd, già renzianissima. È fin troppo evidente come nel Pd convivano due partiti diversi, per certi versi opposti: una doppiezza che il buon risultato delle Europee (dovuto anche a un uso spregiudicato di candidature di “influencer” di sinistra) rischia di perpetuare, procrastinando sine die la necessaria chiarezza. Ma non è così che si potrà battere la destra.