
(CHIARA SARACENO – lastampa.it) – L’Osservatorio dedicato dell’INPS ha finalmente pubblicato dati aggiornati sui beneficiari delle due misure che hanno sostituito il Reddito di Cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza: l’Assegno di inclusione – ADI – e il Sostegno per la Formazione Lavoro – SFL. Il primo è destinato alle famiglie che, oltre ad avere un ISEE inferiore a 9300 euro ed altre condizioni di reddito e patrimoniali, hanno al proprio interno vuoi minorenni, vuoi persone con disabilità o con 60 anni e più, o in condizione di particolare fragilità e seguite dai servizi socio-sanitari territoriali.
Il secondo è destinato a chi non è in nessuna delle condizioni sopra-indicate ed ha un ISEE fino a 6.000 euro, cioè è molto più povero, ma riceve un sussidio inferiore (350 euro), senza considerazione per l’eventuale costo dell’affitto, per un massimo di dodici mesi e solo se frequenta un corso di formazione.
Stanti i vincoli aggiuntivi posti per accedere all’ADI rispetto al RDC, in particolare l’esclusione di tutte le famiglie composte da soli adulti salvo situazioni particolari, che vi fosse una forte riduzione dei beneficiari era atteso, anzi era un obiettivo esplicito. Un obiettivo che appare pienamente realizzato. A fronte, infatti, di 2, 1 milioni di famiglie che ricevevano il RdC o la pensione di cittadinanza nel 2023, tra gennaio e giugno di quest’anno sono state accolte solo 697. 640 domande di altrettante famiglie, cui si aggiungono 96. 000 percettori di SFL. Con piena soddisfazione della Ministra Calderone che ha dichiarato che questi dati sono, appunto, in linea con il target prefissato dal governo, che evidentemente non era, non è, quello di garantire a chi non li ha i mezzi per condurre una vita dignitosa, come recita la Raccomandazione europea sul Reddito Minimo approvata a Marzo 2023.
È, infatti, inverosimile che, nonostante la ripresa dell’occupazione, l’incidenza della povertà si sia dimezzata (diversi segnali suggeriscono il contrario). O che più della metà dei beneficiari fosse fatta da imbroglioni. Anzi, diverse stime avevano segnalato, accanto a diverse storture e difetti di disegno, il RdC lasciava fuori una buona fetta i poveri assoluti. Semplicemente questo governo ha deciso di lasciare privi di sostegno molte persone, e famiglie, in povertà. Tra queste anche un parte di quelle che teoricamente rientrerebbero nella categoria protetta dei beneficiari dell’ADI, le famiglie con minorenni.
L’interazione perversa tra esclusione dei component adulti dalla scala di equivalenza, anche se a carico, e una scala di equivalenza ancora più punitiva nei confronti dei minorenni (e ancor di più dal terzo figlio in su, di quanto non fosse già quella del RdC, di fatto provoca l’esclusione di molte famiglie, specie di lavoratori poveri, dall’ADI a causa del superamento della soglia di reddito ammesso. Non male per un governo che ha fatto dell’aumento della natalità uno dei punti simbolo del proprio programma. Evidentemente i figli dei poveri (come degli stranieri) non contano.
Le famiglie con minorenni sono, i effetti, poco più di un terzo di quelle che percepiscono l’ADI. Anche le persone con disabilità, che pure appartengono alle categorie protette dall’ADI ed anzi nella nuova misura si vedono i propri bisogni maggiormente riconosciuti che nel RDC con l’attribuzione di un coefficiente più alto, se sono adulte e vivono da sole o con altre persone disabili vengono escluse dall’ADI a causa dell’applicazione di una norma dell’ISEE in base alla quale un adulto non coniugato e/o senza figli è considerato a carico dei genitori anche se non vive con loro.
Una norma discutibile anche nel caso di persone prive di disabilità, anche se la sua giustificazione è quella di evitare che figli di famiglie abbienti si vedano ridotte le tasse universitarie o altro perché appaiono nullatenenti. E particolarmente penosa nel caso di persone con disabilità che stanno cercando di condurre una vita autonoma e dei loro genitori che per lo più continuano ad aiutarli come possono. Il Rapporto dell’Osservatorio tace sulle domande rifiutate
Anche i dati sul numero contenuto di percettori di SFL, pur atteso stanti i vincoli frapposti all’accesso, a partire dall’ISEE ridottissimo, desta preoccupazione. Sono meno di un terzo di quelli stimati come potenziali percettori. Gioca lo scoramento, ma macchinosità delle procedure, la mancanza d prospettive, la mancanza di corsi di formazione in alcuni contesti. Inoltre, tra i percettori per oltre la metà si tratta di persone di 50 anni e più, in maggioranza donne, e con una forte concentrazione nel Mezzogiorno.
Quindi di persone molto povere, con un’età in cui è difficilissimo (re)inserirsi nel mercato del lavoro, con qualsiasi qualifica, ma tanto più se bassa e se si è stati a lungo fuori dal mercato del lavoro, che vivono in aree del paese dove la domanda del lavoro è bassa. Terminato il sussidio potranno solo rivolgersi all’assistenza locale e alla carità, aspettando di compiere 60 anni.