Gli Shabaab fanno strage sulla spiaggia di Mogadiscio, decine di morti: il jihadismo africano non conosce crisi

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Nel fango dei tempi ripescate questo nome: Lido beach. Non ha attinenza con nostrani protagonisti balneari, gli intrepidi commandos della spiaggia libera e la intangibile alleanza dei tenutari di stabilimenti balneari. Siamo a Mogadiscio, la spiaggia c’è ma insanguinata, decine di morti, forse alla fine potrebbero essere cento, e poi c’è un kamikaze che si è fatto esplodere in mezzo ai bagnanti e quattro altri killer, tutti talebani del Corno d’Africa, gli Shabaab, che invece si sono affidati ai kalashnikov prima di essere eliminati con fatica dalle forze di sicurezza.
Se siete tra coloro che sono certi che i jihadisti nel mondo sono in ritirata, uno sgradevole ricordo dell’epoca del califfato sull’Eufrate, e che la guerra al terrorismo, almeno quella, perdio sì che l’abbiamo vinta, beh dovete qualche spiegazione a quelli che erano ieri sulla spiaggia del Lido. Perché gli Shabaab sono il califfato del Corno d’Africa, una spiritata cellula del jihad globale, e purtroppo sono vivi e vivacissimi come i focolai guerriglieri e teologicamente totalitari che spuntano ad ogni angolo del continente.
I somali vivono da più di trent’anni nell’età dell’attesa. Attesa di che? Di tutto: della pace, del lavoro, di denaro, normalità, successo, felicità, la vita insomma. Ne hanno di cose da raccontare se mai qualcuno avesse tempo e voglia di interrogarli. Nell’ordine: il pittoresco dittatore Siad Barre, detto Boccalarga, gli spietati Signori della guerra con le loro milizie in pick up, la grande fame figlia di siccità e ferocia degli uomini, le effimere e scenografiche “restaurazioni della speranza’” di Bush e Clinton, finite nei rottami di un paio di elicotteri, una fuga vergognosa e ovviamente un film di successo; poi la stagione dei fanatici, la disperazione che diventa escatologia messianica, il suicidio come conclusione e il paradiso come scopo della vita, i tribunali islamici e il loro impietoso diritto, le esecuzioni allo stadio di ladri e adulteri, l’ordine di Dio, una parvenza di ricostruzione scandita da attentati sanguinosi e infine gli Shabaab, tra guerra santa e criminalità, finanziata dalla grande rete internazionale dello Stato di Dio, acquattati nelle foreste dove una volta, forse, c’erano gli elefanti. Lì comanda, incredibile, una donna, inglese, la “vedova nera’’, Samantha, ci sono le scuole di terrorismo di Al Qaeda e operose fabbriche di ordigni. E ritorna perfino la pirateria in allarmante e sospetta colleganza marittima con le strategie degli houthi. Mentre i capi dei pirati nel frattempo sono diventati generali e uomini di affari che giocano ormai il risiko della politica e del potere.
I somali aspettano dunque e mentre aspettano disperatamente cercano di vivere e sopravvivere, si danno da fare, mettono in piedi negozietti e perfino molti ingegnosi business, fuggono verso l’Europa, invecchiano e muoiono. Ma non si rassegnano, i giovani, pensano che si libereranno dei vecchi, delle loro abitudini, e gli Shabaab sono parte di quel mondo vecchio; via, l’attesa non può essere infinita, a meno che un giorno la volontà di costruire non diventi distruzione.
Forse di fronte a questo racconto di vero può esistere solo il silenzio, quel silenzio che si affaccia sugli abissi della nullità del nostro mondo, sul nostro povero disastro e che, stupito, china la fronte. Non basta la pietà per i morti, pietà per un paese straziato dal 1986, esiste una lunga e poco comoda meditazione da fare, la meditazione sulla catena di cedimenti errori complicità colpe peccati di avarizia sordida e quotidiana. È la Somalia del terzo millennio così atrocemente eguale a quella della fine del secondo, una di quelle tragedie ininterrotte, ahimè quasi eterne, che lasciano in noi solo una ombra appiccicosa e semmai il vuoto interrogante del non sapere perché siano avvenute e perché non si è preso parte se non marginalmente. Luoghi e uomini che non hanno mai deposto nella nostra coscienza temi di riflessione e luci di una non vana e avventizia volontà di riparare, intervenire, capire.
Ci sarà oggi, dopo alla notizia della spiaggia insanguinata, qualcuno che si chiederà: ma a Mogadiscio non si moriva di fame? Cosa è questa storia che si va al lido come a Forte dei Marmi e a Sanremo? E poi vengon qua con il barcone i somali che hanno anche il lusso di andare al mare…
Semplicemente: il Lido era la cartolina di una fragile speranza di normalità, alle spalle la sghemba silhouette del palazzone un tempo costruito da uno dei signori della guerra, quello che era in società con l’Italia; un mare di smeraldo, centinaia di piccole barche che formano come una colorata barriera a poche centinaia di metri dalla battigia, donne coperte e ragazzini scatenati, ci si bagna con prudenza, senza allontanarsi al largo, c’è il rischio dei pescecani poiché i sovietici con sbrigativo metodo staliniano fecero saltare la barriera corallina per far entrare le loro navi; localini e bar ovunque che ricordo poco tempo fa messi su in fretta, con le canne e le frasche, e ora sono solida versione povera dello stile spiaggia turca. Sì, a Mogadiscio comanda Erdogan che ha preso in mano con forza la ricostruzione e l’economia, che ha trasformato perfino la vecchia cattedrale italiana scoperchiata dalla guerra in parcheggio per la propria ambasciata.
Nel 2023 una offensiva sembrava aver sconfitto gli Shabaab. Un anno dopo il gruppo jihadista si è riorganizzato, e si prepara a riconquistare alcune città del Galguduud che aveva perso. Al governo somalo che controlla a mala pena metà del territorio mancano i mezzi economici e militari anche perché i donatori occidentali si sono fatti avari. A rendere efficace l’offensiva era stata l’alleanza con alcuni clan che avevano deciso di ribellarsi alle esazioni degli Shabaab ma per la debolezza del governo hanno ritirato il loro appoggio. Ad aggiungere confusione c’è il tentativo del presidente Hassam Cheik Mohamoud di centralizzare un sistema costituzionale basato da tempi immemorabili sulle alchimie e i dosaggi bizantini tra le kabile, i clan, gelosissimi della loro autonomia. Anche la volontà di passare al suffragio universale che sarebbe una vera rivoluzione spezzando il reticolo clanico ha scatenato pericolosi sospetti e gelosie. La provincia del Puntland, che non è impegnata nella lotta con gli Shabaab, ha già annunciato che non riconosce più il governo federale.
Indebolisce anche la crisi con l’ingombrante vicino, l’Etiopia, che ha siglato un accordo con il Somaliland, l’ex colonia britannica che si è costituita in Stato autonomo, e di fatto si è comprata lo sbocco al mare. Un ossessione che risale ai tempi di Menelik.