È stato vincendo il secondo conflitto con la repubblica caucasica e vendicando la sconfitta di Eltsin che è diventato lo Zar della Russia. Per questo dopo venticinque anni ha ancora bisogno di rincorrerne le ombre

(Domenico Quirico – lastampa.it) – I fantasmi: all’alba sei sicuro di averli messi alla porta. E invece… Ogni volta è così. Perché sono carichi di cose, loro apparentemente così eterei e inconsistenti e muti; zeppi da scoppiare come se arrivassero ogni volta dall’infinito, ostinati petulanti implacabili a spiattellarti davanti il gran bazar dei ricordi dei rimorsi delle opportunità perse. Ah, son bravi a importi i ricordi, anche se tu ti agiti, cerchi di voltarti, gridi che non vuoi sapere più niente: andate via capitolo chiuso non compro nulla! E invece… Pensate davvero che se ne andranno? Che riavvolgeranno i rimorsi? Illusi. Eccoli di nuovo lì a ricominciar da capo, brulicante vegetazione onirica. A ricordarti che la vita e la Storia sono immense e che i conti non sono mai finiti e puoi perderti dentro. Bisogna stare in guardia. Sempre. Esser prudenti. Passano gli anni e quello che sembrava un successo assodato, definitivo semplicemente non era vero. O peggio: visto dall’altra parte si rovescia in colpa vergogna indizio a carico, occasione mancata. Già, un fantasma.

Cecenia: il fantasma di Putin
La Cecenia è il fantasma di Putin, un fantasma ambiguo, seduttore e traditore, che cambia volto a seconda delle circostanze. Esaltante come folgore o bruciante come fuoco abissale quella guerra è infilzata nella sua biografia, abbacinante e crudele metafora, l’ha inventata e ferita, incamminata su micidiali precipizi. Conteneva tutto, segni, allarmi, veleni, premonizioni, passato e futuro, voci, dolci e tremende tentazioni.
È vincendo la guerra cecena, vendicando con ogni mezzo la sconfitta dell’età della vergogna, quella di Eltsin e della sua banda di cinici saccheggiatori, che è diventato Putin. In fondo ancora oggi nel suo rapporto con i russi incassa i dividendi di quel brutale successo. Cancellò, con l’aiuto dell’alleato Kadyrov, la guerra di coscritti gettati sulle montagne senza addestramento, con i giubbotti antiproiettile bucati, i coscritti massacrati nelle caserme dal nonnismo e dagli ufficiali sempre ubriachi, che le madri venivano a portar via sommariamente chiusi in sacchi che puzzavano di putrefazione, i figli della Russia rimasta senza Storia, sospesa nel vuoto del tempo, affamata lercia che si prostituiva a vincitori che la tenevano in pugno senza averla vinta, i ragazzi che imploravano i “cechi”: «Zietto, non mi ammazzare». E quelli li sgozzavano perché non erano più i cavallereschi montanari ma erano diventati gli apostoli del nuovo jihad che faceva le prove generali. Da nessun’altra parte si poteva trovare così tanto odio, così tanta incomprensione racchiusa in uno spazio così esiguo. Nulla è possibile compiere all’uomo che contenga in sé il pericolo del suo contrario. Così Grozny si rifiuta di scomparire nella vittoria, le ceneri non si raffreddano, i ceceni continuano a combattere, in Siria, in Cecenia, in Ucraina in Russia. Una vittoria che non ti lascia respirare. Non è un suo fantasma quello che ha accolto con il picchetto d’onore e il red carpet riservato agli eroi, l’agente del Fsb che ha giustiziò un leader ceceno a Berlino, scambiato con spie americane e dissidenti? In Cecenia ogni prospettiva è imperfetta come gli squarci di cielo illuminati dai lampi della tempesta, c’è un difetto di base, una imperfezione difficile da rimediare. Khangoshvili era un eroico dissidente per i ceceni, e per l’Occidente. Un terrorista spietato che massacrava scenograficamente i soldati prigionieri calpestandoli con i camion per i russi.
La violenza estrema
Ecco siamo al punto. La violenza, la violenza estrema. È questa, proprio questa la parola che più piange sotto le nostre elusioni e le nostre abdicazioni. Perché la Cecenia ci ha insegnato che come pratica di guerra la violenza estrema si insegna e si impara, fa scuola, arruola reclute e stuzzica praticanti. Si trasferisce da un conflitto ad un altro. Perché nel Caucaso è iniziato per poi proseguire in Siria, nel Donbass in Ucraina, a Gaza dove si sono sperimentate le atrocità e le guerre urbane, ritualizzate in ogni nuovo capitolo. Come la pratica della “zatchistka”, pulizia, il passaggio casa per casa di pattuglie che seminano il terrore come a Alkhan Kala, a Sudovest di Grozny nel 2001. Il delitto non ha più bisogno dell’ombra, vuole la luce, la pretende. Le ecatombi diventano numero, statistica, citazioni. Non basta uccidere, bisogna imparare a far soffrire.
Susan Sontang ha coniato la frase “pornografia della violenza” guardando le immagini di Abu Ghraib, la prigione americana in Iraq. Ma in Cecenia la cupa frontiera era già scavalcata: spettacolizzare le violenze più turpi, moltiplicarne le immagini.
In questo tempo così duro, vitreo e terribile, la brutalità è in agguato ad ogni capitolo come un povero breve filo di bava sulle labbra dei morenti. Il difficile non è scriverla, anche se confesso che ogni volta si prova paura di non poterla reggere. La difficoltà è nell’accettarla, nell’assumerla, nel portarla alla luce nel lasciarsene investire tutti interi. In Cecenia entrambe le parti applicarono quella che a torto vien definita l’animalizzazione del nemico. In realtà proprio perché non è assimilato agli animali che questa crudeltà viene applicata, diventa un attacco alla identità che va al di là dell’uccidere con i cadaveri sfregiati e derisi, legati con il filo spinato ai ruderi dei carri armati e poi bruciati, usati come souvenir. Tutti coloro che sono dall’altra parte sono colpevoli di esser nati.
Per questo c’è un verbo che non spaventa più: eliminare, liquidare. Una volta era nel lessico degli squadroni della morte, ufficiali o clandestini: liquidato il nemico del popolo tal dei tali… Il traditore… Il pericoloso rivoluzionario… Nel verbo c’era già il metodo, nessuna lungaggine, formalismo legalitario, dubbio. Liquidato, punto e basta.
Un paio di esecuzioni riuscite e il Mossad recupera democratici applausi e onore. Putin riporta a casa il liquidatore obbediente e molti in Russia, state certi, molti applaudono il capo che ha onorato il debito con il fedele esecutore.