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Nuovo líder máximo della sinistra: Tajani! Siamo messi male…

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Da decenni si sente dire, non certo a caso, che la sinistra non abbia un leader in grado di incendiare le masse. Per fortuna questa lunga assenza di punti di riferimento è finita. Il vuoto di carisma e credibilità […]

(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – Da decenni si sente dire, non certo a caso, che la sinistra non abbia un leader in grado di incendiare le masse. Per fortuna questa lunga assenza di punti di riferimento è finita. Il vuoto di carisma e credibilità è stato finalmente colmato da un nuovo Che Guevara. L’uomo che tutti aspettavano a sinistra. Un nuovo ed elettrizzante Líder Máximo. No, non sto parlando di Bonelli (che in effetti ha come prima cifra quella di esaltare come nessuno le masse). E neanche di Marattin, altro enfant prodige della gauche quasi-caviar italica. Il nuovo conducator che la sinistra attendeva è lui, solo lui, per sempre lui: Antonio Tajani. Ne hanno dato il lieto annuncio Repubblica, sempre in prima fila quando c’è da puntare sul cavallo sbagliato (vedi Renzi), e tutto quel sottobosco di “sinistruccia” mai stanco di celebrare il centrodestra “moderato” in funzione anti-grillini e sinistra autentica.

Ora: già il fatto che qualcuno celebri nel 2024 Tajani dice molto della politica italiana, considerando che Tajani a) era uno che da giovane si vantava di essere monarchico (?); b) appariva già nel 1994 come uno dei pesci più piccoli dell’arrembante benché imberbe berlusconismo. Evidentemente i Salvini & Meloni (e giannizzeri annessi) sono così improponibili che ormai vien persino voglia di rivalutare gente come Tajani. Questo sghembissimo “elogio del passato” passa però da caricaturale a colpevole se proviene da ambienti non riconducibili (non subito almeno) al centrodestra. Persino Ezio Mauro ne ha tessuto le lodi, forse in cuor suo anelando all’ennesimo ribaltone-inciucio. Un consunto e sciagurato leitmotiv mai passato di moda dalle parti di Repubblica (e quindi almeno mezzo Pd), già andato in scena – con esiti infausti – con i governi tecnici di Monti e Draghi, come pure con il devastante renzusconismo. Ciclicamente, per esempio durante il Covid ma non solo, Berlusconi diventava “quello buono” e misurato nel centrodestra. E allora, in funzione anti-Salvini e anti-Meloni, occorreva inciuciare con Berlusconi. Gran bella idea, tenendo poi conto che Berlusconi – tratteggiato in queste fasi storiche come paladino dei diritti – è sempre stato nemico dei diritti (oltre che del Diritto).

Adesso ci risiamo. La scintilla sono state le Olimpiadi (?) e le melonate & vannacciate indecenti su pugilesse “non abbastanza donne” e pallavoliste “non abbastanza italiane”. Qui, un po’ per calcolo e un po’ per convinzione, Tajani si è chiamato fuori. Ha detto che non tutti a destra la pensano così e che loro hanno un’altra idea di identità, nazione e inclusione. Bene. Benissimo. Tutto questo non è nuovo: in Forza Italia ci sono sempre stati, e sempre ci saranno, pulviscoli di parlamentari che nulla c’entrano con le idee più teocon, bigotte e retrograde tanto care alla Meloni. Da qui però a dipingere Tajani come un possibile compagno di viaggio per il centrosinistra ce ne passa, a meno che – in questo impeto di inciucismo di ritorno – non si sia poi disposti a celebrare anche Gasparri, che ha criticato apertamente Vannacci su Egonu e patria (rendiamoci conto: Vannacci contro Gasparri… è possibile immaginare uno scontro più rasoterra?).

La realtà è molto più semplice. 1. Tajani, che non è Churchill ma neanche un brodo lesso, sta cercando uno spazio tutto suo per sopravvivere e al contempo mettere in difficoltà la Meloni. In questo senso, parlare con toni illuministi di diritti civili e ius scholae è funzionale al suo gioco. Si chiama tattica ed è gratis: un passatempo estivo come un altro. 2. Nel centrosinistra c’è un tafazzismo endemico, livoroso e incurabile. Una voglia matta di evirarsi per far dispetto alla moglie (?), in nome di un antifascismo molto spesso di maniera e più ancora di un antigrillismo mai scemato realmente. Proprio non ne usciamo: con questi leader, e con questi editorialisti, non vinceremo mai. E intanto i meloniani brindano. Poveri noi.


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