
(Tommaso Merlo) – Ci sono campi profughi palestinesi sparsi per tutto il Medioriente e alle periferie delle città della Palestina. Anche a Jenin e Tulkarem dove in queste ore gli israeliani stanno usando il pugno di ferro. Cercano terroristi, terrorizzando. Una storiaccia che dura da decenni. I campi profughi palestinesi hanno tutti un nome ed una data. Molti sono sorti nel 1948 a seguito della Nakba altri nel 1967. Ormai ci vivono i pochi sopravvissuti ed i discendenti delle diverse ondate di pulizia etnica. Tantissimi giovani perché fare figli è anche una forma di resistenza, giovani che hanno ereditato traumi, dolore e quindi odio verso quell’invasore venuto da lontano e mai domo. Figli e nipoti di famiglie a cui un giorno i sionisti hanno bussato alla porta con un fucile in mano ed hanno ordinato di andarsene perché quella non era più casa loro e tantomeno la loro terra. Figli e nipoti di famiglie costrette a raccattare la loro roba e mettersi in marcia verso le periferie delle città per tentare perlomeno di sopravvivere. Una deportazione verso la miseria. Prima le tende, poi la lamiera, poi mattoni e cemento ma sempre ai margini delle città, ai margini del mondo. Molti villaggi palestinesi sgomberati sono stati distrutti, gli israeliani se ne sono costruiti di nuovi e in giro per quella terra maledetta ogni tanto spuntano delle macerie sommerse dalle erbacce e dalla boscaglia. Parte della strategia di cancellare la memoria di una scomoda verità: la Palestina esisteva eccome prima che sbarcassero i sionisti ed era una terra dove tutti convivevano pacificamente. Altro che dare la colpa a quei giovani che nei campi profughi finiscono per radicalizzarsi indossando un passamontagna e lanciando pietre quando monta la rabbia. Lo loro è più disperazione che altro e dolorosa impotenza. Ed è lì, nei campi profughi che Israele concentra la sua violenza, per stroncare i focolari più politicizzati che osano alzare la testa, e per evitare che il resto della Palestina faccia altrettanto reagendo alla violenza con la violenza. Una storiaccia che si ripete da decenni. Solo quest’anno si registrano centinaia di vittime in Cisgiordania e gli israeliani hanno bombardato campi profughi con civili ammassati in pochi metri quadri di cemento. L’unica novità del genocidio di Gaza è la magnitudo della carneficina, non certo le prassi militari. Un celebre ebreo – Einstein – diceva che la pazzia consiste nel ripetere le stesse azioni ed aspettarsi risultati diversi. Eppure è quello l’andazzo. Sterminare e terrorizzare i palestinesi nella speranza che abbassino la testa oppure che facciano armi e bagagli come nel 1948. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Eppure insistono imperterriti. Come se Einstein avesse ragione anche quando affermava che esistono solo due cose infinite, l’universo e la stupidità umana. La violenza genera solo violenza opposta prima o poi. È solo questione di tempo. I palestinesi continuano a fare figli anche come forma di resistenza, mettono al mondo legittimi abitanti di quella terra maledetta, discendenti che ereditano traumi e dolore ma anche fame di giustizia e determinazione a non mollare. Se non fosse per la corruzione lobbistica degli Stati Uniti, se non fosse per l’ignavia europea e la divisione ipocrita del mondo arabo, il delirio sionista sarebbe già stato estirpato e in Palestina splenderebbe il sole in un modo o nell’altro. L’escalation di quest’anno orribile non ha fatto che illustrare al mondo cosa sia realmente il sionismo e come la violenza porti alla fine solo all’autodistruzione reciproca. La pace non può essere ottenuta con la forza ma solo con la comprensione, diceva Einstein. Discutendo, ragionando da persone civili e senza spazzatura ideologica nella testa. Da entrambi le parti. E come diceva sempre il grande genio, se non si ritroverà la via della pace, la quarta guerra mondiale si combatterà con la clava.