
(Giuseppe Di Maio) – A rischio di sembrare omofobo, retrogrado e qualunquista, vi dico che gli omosessuali non mi sono mai piaciuti. Voi direte perché mai? Perché essi più di altri hanno a cuore la sfera privata, giacché hanno intuito che la soddisfazione dei loro bisogni affettivi non verrà agevolata dalla collettività, ma solo da un diritto acquisito. Una storia aspra e triste, ne convengo, ma che per il momento non promuove chi vive questa condizione a rappresentante imparziale dei bisogni generali. Ricordo Nichi Vendola, ottimo retore e propugnatore di giustizia ed equità, nei momenti cruciali del suo mandato tradì le attese mostrandosi prono ai compromessi, difendendo il proprio stipendio da spinte livellatrici, si ritirò in lauta e anticipata pensione con pochi anni di contributi, si chiuse nel suo universo privato con figlio adottivo, amante e proprietà.
Quest’altra capopopolo del PD, che ritiene l’armocromia più importante della lotta alle disuguaglianze, scelse il lato esterno di un partito scalabile da due parti, ovvero quello che passava per la narrazione di frottole agli elettori. A costoro promise di rendere democratico il partito dei democratici, di far fuori i capibastone, attenuare le correnti, indicò la pace e gli obiettivi di giustizia sociale. Il popolo abboccò, e sbeffeggiò l’establishment piddino col “non ci hanno visto arrivare”. Invece, a più di un anno e mezzo dall’investitura e, forte dei sondaggi tra un popolo che crede ancora nella sua rivoluzione, il PD è ancora il partito delle tessere, degli assessori, dei feudi incistati nel territorio e nell’amministrazione dello Stato, il partito che si occupa delle assunzioni, che promuove le carriere, che rappresenta gli interessi delle lobbies, della finanza, il partito della sterile Europa degli stipendi, dell’alleanza atlantica.
Il capopopolo dei tornaconti privati tace e sciacqua le pudenda con i propri affetti in località top secret, e intanto pensa al suo nemico pentastellato. I suoi sondaggi vanno così bene, e così bene le elezioni, che il popolo potrà digerire anche un altro rospo: Renzi. Un rospo adatto a scatenare fra non molto il sistema mediatico padronale addosso a un afono 5 stelle che con l’ottusa pretesa di tenere fuori un “prezioso” alleato, sarà colpevole di far vincere alla destra le prossime elezioni. Afono il Movimento, e afono il suo presidente che, poveraccio, di voce ne ha proprio poca. E non capisce che stavolta ne va della sopravvivenza della radicalità progressista, che non dovrà più agire di fioretto ma di sciabola, che dovrà farsi sentire e staccare la spina coi dem in tutte le amministrazioni, ma soprattutto dovrà gridare a tutti che il competitor d’area è più nemico dell’avversario al governo, che il Movimento è nato per sostituire la classe dirigente del partito dei lavoratori.