
(di Michele Serra – repubblica.it) – Del clima di paranoia collettiva che porta alle elezioni americane quale peso hanno i social? Di quanto hanno aggravato l’instabilità emotiva di chi già ne soffriva, e in quale misura l’hanno “spalmata” sul resto della popolazione? Di quanti gradi hanno alzato il livello della disinformazione, del sospetto, della calunnia, del rancore, della paura reciproca?
Non sono domande polemiche. Sono, o dovrebbero essere, domande cliniche. Nonché domande politiche di prima grandezza, e decisamente super-partes, mettendo ai primissimi posti dell’agenda (americana e mondiale) le condizioni del campo di gioco. Nessuno disputerebbe una partita importante su un terreno dissestato, o minato. Dovrebbe essere interesse di tutti affrontare con serietà un problema così enorme, e così nuovo nella storia degli esseri umani, magari cercando di coinvolgere e responsabilizzare i fornitori di quel servizio. A meno che si sia primattori della paranoia, e dunque non in grado di percepirla (è il caso di Elon Musk), o disposti a incrementarla pur di aumentare ad ogni costo il traffico e i profitti (è il caso di tutti i padroni del web), soccorrere le vittime, che sono centinaia di milioni, e intercettare gli avvelenatori dei pozzi, che sono poche migliaia, dovrebbe essere una priorità mondiale.
In un Paese con quattrocento milioni di armi da fuoco in mano ai privati, e trentamila morti all’anno in sparatorie piccole e grandi, la mattanza ha trovato, grazie ai social, un pubblico di massa che incita, chiuso in casa con i suoi popcorn, a premere il grilletto.