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Pensioni, il governo pensa alla riforma. Modifiche alla Fornero per alzare l’età. Si parte con incentivi a restare

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Nel Psb l’intenzione di cambiare i criteri di accesso per contenere la spesa pubblica e tamponare la crisi demografica. Il taglio all’indicizzazione per ora non c’è. Giorgetti: “Decide il Parlamento”

Il leader della Lega Matteo Salvini

(di Valentina Conte – repubblica.it) – ROMA – Si vive di più, nascono sempre meno bambini e bisogna «contenere la spesa pubblica». Ecco perché l’esecutivo di destra ha deciso di fare la riforma delle pensioni. Riaprire cioè la legge Fornero non per abolirla, come prometteva la Lega di lotta e governo. Ma per modificare i «criteri di accesso al pensionamento».

Nel breve termine si punta solo sulla volontarietà per trattenere al lavoro «le risorse ad alto know-how» della pubblica amministrazione. E quelle del privato «con incentivi alla permanenza». Ma nel medio periodo la musica cambia. Lo scrive il governo stesso nel Psb, il Piano strutturale di bilancio inviato alle Camere venerdì notte.

Il gioco delle tre carte

Il prossimo anno sarà di passaggio, con la conferma del pacchetto “flessibile” in vigore e già fortemente penalizzato con tetti, finestre e ricalcoliQuota 103, Ape sociale, Opzione donna. Di Quota 41 non si parla più. Neanche di alzare le pensioni minimeL’obbligo di versare il 25% del Tfr ai fondi complementari (idea leghista) pare declassato a «promozione su base volontaria» dell’adesione ai fondi.

L’indicizzazione all’inflazione delle pensioni tornerà favorevole da gennaio, con i tre scaglioni Prodi-Draghi al 100-90-75%: «Non ci saranno altri tagli», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ai sindacati. Aggiungendo però che il Parlamento è sovrano. In buona sostanza: se vogliono le minime, potranno tagliare loro. Il gioco delle tre carte.

La sostenibilità dei conti

Nel frattempo, per capire cosa ha in testa questo governo sulle pensioni, vale la pena leggere il Psb. Scrive Giorgetti in premessa: «Il Piano non lascia indietro nessuno. Si concentra sulla sostenibilità del sistema pensionistico e la qualità del sistema sanitario. Ma poiché nel lungo termine la sostenibilità del welfare dipende dalla demografia, accanto al potenziamento e all’ordinato sviluppo dei pilastri complementari di previdenza e sanità, il Piano rafforza le politiche per la famiglia, per sostenere la natalità e la genitorialità».

Tradotto: altro che pensioni anticipate, bisogna lavorare di più visto che la vita si allunga e l’offerta di lavoro si riduce (la popolazione in età attiva tra 15 e 64 anni, si legge nel Piano, si è ridotta di 1,8 milioni di unità tra 2013 e 2023). E dunque, in attesa della riscossa nelle culle, bisognerà ripiegare su sanità e previdenza integrative.

Il piano per la riforma delle pensioni

La bozza del Psb lo esplicitava ancora meglio: «Si provvederà a introdurre modifiche per la spesa pensionistica con l’adeguamento dei requisiti anagrafici di accesso al pensionamento». Diventato poi un meno forte «il governo si impegna» a modificare i «criteri di accesso», che coinvolgono però anche il numero di contributi versati, oltre che l’età.

Nel testo finito in Parlamento scompare l’obiettivo del «contenimento della spesa pubblica», mascherato dal più neutro «sostenibilità». Sparisce anche l’intento di operare per «le lavoratrici madri», salvate dall’aumento dei requisiti in quanto donne con figli. Finisce nel cestino pure l’intenzione di rivedere «il meccanismo di perequazione per i titolari di trattamenti pensionistici all’estero», probabile taglio dell’indicizzazione all’inflazione.

Allungare la permanenza al lavoro

Tentazione per ora accantonata. Ma nell’elenco dei disegni di legge collegati alla manovra, se ne annuncia uno con «interventi in materia di disciplina pensionistica». La riforma delle pensioni meloniana corre dunque sotto traccia.

Non è un caso che il Rapporto annuale dell’Inps, presentato qualche giorno fa, sottolinei la bassa età media reale di uscita dal lavoro (64,2 anni) rispetto all’età legale (67 anni). Ma siamo sopra la media Ue di 63,6 anni e a 64,6 anni con l’Ape sociale.

Va detto poi che quella media è dovuta pure alle tante Quote leghiste. E che prima della riforma Fornero si viaggiava sotto i 60 anni. Alzare l’età, questo il nuovo pallino del governo. Fa bene ai conti. E anche alle statistiche dell’occupazione che si gonfiano con i lavoratori over 50. Anche questo scritto nero su bianco nel Psb.


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