
(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – Il professor Antonio D’Andrea lo aveva detto in un’intervista al Fatto il giorno stesso dell’approvazione del decreto Paesi sicuri: prima o poi un Tribunale avrebbe interpellato la Corte europea per capire quali regole si devono applicare, visto che le norme e le sentenze europee paiono divergere dalla legislazione interna. Infatti è successo martedì: la sezione immigrazione del Tribunale di Bologna, esaminando il caso di un cittadino del Bangladesh, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo per chiedere quali siano i parametri che consentono di individuare un Paese terzo come sicuro e se sussista sempre “l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare le disposizioni nazionali in caso di contrasto con la direttiva che riguarda le procedure comuni”. In pratica: i magistrati si domandano se il Bangladesh, dove per esempio gli omosessuali rischiano il carcere a vita, si possa o no considerare sicuro. Come possono convivere l’inserimento del Bangladesh nella lista dei Paesi sicuri e la sentenza della Corte europea del 4 ottobre in cui si ribadisce che un Paese per essere considerato sicuro deve esserlo in modo generale e uniforme, per tutti i cittadini? Fin qui tutto bene e tutto ampiamente prevedibile. Ma i giudici di Bologna a un certo punto scrivono quanto segue: “Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un Paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom e altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile”. L’analogia, come prevedibile, ha scatenato i già irrefrenabili Nordio, Gasparri, Salvini e tutto il circo: toghe comuniste, bisogna reagire in fretta, mandiamo segnali forti. Sappiamo bene cosa sta facendo il governo – basti la furia riformatrice che stravolge l’assetto democratico – e sappiamo che lo scontro con la magistratura è strumentalmente utilizzato a fini di propaganda.
Ed è proprio a causa di queste posture – che in qualche caso, tipo l’esondante Guardasigilli, vanno ben oltre l’inopportunità – non bisogna dare il destro a ulteriori polemiche: è vero, come ha scritto qualcuno, che l’esempio della Germania nazista sembra fatto apposta per finire sui giornali e nulla aggiunge alle argomentazioni come precedentemente formulate. I giornali di destra infatti strepitano a tutta pagina di assalti al governo e sabotaggio dei rimpatri. Voi direte: strepiterebbero comunque, non fanno altro da vent’anni. Vero, per questo bisogna essere inattaccabili. Il che non vuol dire che i giudici devono essere cittadini di serie B, privati cioè dei loro diritti, ma che non bisogna fornire argomenti a chi cerca lo scontro. Specie quando gli argomenti sono, tra le altre cose, ridicoli: lo sanno anche i bambini che quando si tira in ballo Hitler qualunque discussione naufraga. In più il parallelo con il nazismo è controproducente perché sposta il merito della discussione: i corifei di Giorgia non vedono l’ora di parlare d’altro, visto che non sono capaci – dal decreto Cutro a quest’ultima trovata albanese – di dare una cornice giuridica sensata ai loro provvedimenti. Il ministro Nordio ha detto che la sentenza della Corte del 4 ottobre era complessa, scritta in francese e per questo i magistrati di Roma non l’avrebbero capita, in realtà sono loro che non capiscono (o fingono di) le norme europee. In mezzo al ping pong, agli insulti e agli slogan ci sono i migranti che, nonostante il trattamento disumano, sono persone, non pacchi.